Un aspirante al titolo di Persona più ingenua della storia – che ha buona probabilità di conquistarlo – è un newyorchese che ha fatto causa a una chiromante accusandola di frode: Priscilla Delmaro gli avrebbe sottratto circa 700mila dollari con la promessa di aiutarlo a conquistare il cuore della donna amata (tra le spese c’erano 30mila dollari per l’acquisto di una macchina del tempo e 80mila per costruire un ponte d’oro lungo 130 chilometri – non chiedetemi come abbia fatto a cascarci).
Si dà il caso che l’oggetto del desiderio del cliente sia morto a metà dell’operazione, ma sembra che neanche questo sia bastato a fermare la donna, che è arrivata a prometterne la reincarnazione. Solo a quel punto l’eccezionale credulità dell’uomo è entrata in crisi. “Ho cominciato a pensare”, ha scritto nella sua deposizione alla polizia, “che forse Delmaro non era quello che pretendeva di essere”. Delmaro ha respinto ogni accusa.
Se quello che ha raccontato è vero, mi sembra ragionevole concludere che il cliente della donna fosse stupido o, come si dice in inglese, fool. Senza dubbio corrisponde alla definizione di phool offerta da Phishing for phools, il libro di prossima pubblicazione degli economisti premi Nobel George Akerlof e Robert Shiller. Tecnicamente, il phishing è il trucco con cui i truffatori ci convincono a rivelare i dati del nostro conto bancario usando email e siti web apparentemente affidabili. Shiller e Akerlof sostengono che l’inganno e la manipolazione non sono fenomeni economici marginali, ma sono alla base del capitalismo di consumo.
Siamo continuamente soggetti al phishing (e questo, per usare la loro terminologia, fa di noi dei phool). In una situazione di libero mercato, una possibilità di profitto consiste nello sfruttare le debolezze psicologiche delle persone. Le frodi sono così comuni, spiegano gli autori, che la linea di separazione tra comportamenti equivoci e illegali e accorte pratiche commerciali è piuttosto arbitraria. Altrettanto arbitraria, direi, quanto quella che separa un medium disonesto e uno che non lo è.
La nostra propensione a lasciarci manipolare è una risorsa che qualcuno cercherà di sfruttare
Prendiamo, per esempio, le palestre. Si presentano come strumenti per raggiungere una perfetta forma fisica, ma nella maggior parte dei casi alla base del loro modello commerciale c’è lo sfruttamento della pigrizia: se tutti facessero buon uso del proprio abbonamento mensile, garantire lo spazio e le attrezzature necessarie le condurrebbe al fallimento.
Facciamo un altro esempio: la compravendita di titoli di borsa da parte di chi dispone di informazioni riservate (insider trading) è considerato reato, perché chi acquista sfrutta dati ai quali gli altri non possono accedere.
Ma quando Facebook usa i dati dei suoi milioni di utenti per mostrargli pubblicità su misura, studiate per fare leva su punti deboli che non sapevano di avere, che differenza c’è? Ormai certi siti mostrano prezzi diversi a potenziali acquirenti diversi, in base a quanto, secondo il loro comportamento online, pensano che siano disposti a pagare, cosa che è al tempo stesso perfettamente sensata e assolutamente scandalosa.
Il punto è che tutto questo non è necessariamente sbagliato. Akerlof e Shiller vogliono piuttosto farci riflettere sul fatto che la nostra propensione a lasciarci manipolare è una risorsa che, in un’economia di mercato, naturalmente qualcuno cercherà di sfruttare. Da questa desolante prospettiva, il venditore che come prima cosa ci mostra un televisore da tremila euro per farci sembrare un affare quello da mille, non è un imbroglione, sta solo facendo il suo lavoro. E il nostro compito consiste nel non dimenticarcene.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
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