In realtà, la felicità si può comprare
“Spendere soldi per fare esperienze invece che per comprare un oggetto rende più felici!”. Questo è il tipo di riflessione che ci aspetteremmo di trovare in un tweet di Richard Branson, insieme a una foto del barbuto, irritante fondatore del Virgin Group che scia sull’acqua ai Caraibi (facendo il buffone). Ma è anche una delle verità più accertate dalle ricerche sulla felicità: i beni materiali smettono presto di darci piacere, mentre il ricordo delle esperienze ci rimane impresso nella memoria per anni.
O almeno così credevamo. Ma da un nuovo corposo studio ungherese non è emersa nessuna differenza significativa tra i due modi di spendere. E comunque, più ci pensiamo e più la distinzione tra esperienze e cose appare strana. Alcuni acquisti sono difficilmente classificabili: un romanzo è senza dubbio un oggetto, ma lo compriamo per viaggiare con la fantasia, e quindi in quale categoria rientra? A pensarci bene, questo si può applicare a tutto.
Considerate l’esempio classico del materialista che compra un’auto sportiva convinto che lo farà felice, contrapposto al saggio che attribuisce più importanza alle esperienze e spende i suoi soldi (peraltro molti di meno) per andare in vacanza con gli amici. In fondo, non vi sembra che anche quello che sceglie l’auto stia comprando un’esperienza, e cioè l’eccitazione che immagina di provare ogni volta che la vede, la guida o ne parla? E da parte sua, quello che decide di andare in vacanza non disprezza affatto i beni materiali. Alcuni li affitta, come la stanza d’albergo o la poltrona di un aereo, mentre altri, come il cibo e le bevande, li compra, e quindi la sua esperienza dipende comunque dagli oggetti.
Se chi va in vacanza è più felice, è perché ha pregustato il viaggio, lo ha vissuto e lo ha consegnato alla memoria
La verità, come spiega il filosofo e neuroscienziato Sam Harris nel suo libro Waking up, è che tutto quello che facciamo non è altro che un modo per manipolare la nostra esperienza. Nessuno ha mai comprato qualcosa se non perché lo faceva stare bene: che stesse cercando di placare i morsi della fame o di possedere un uovo di Fabergé.
In termini pratici, questo è importante perché ci aiuta a capire il vero problema del tipo che compra l’auto: non è che preferisce gli oggetti alle esperienze, ma che ha scelto il tipo di esperienza sbagliato. Si aspetta di provare ogni giorno la dose prevedibile e continua di piacere che deriva dal possesso di un’automobile. Ma il piacere non funziona così: se alla fine quello che va in vacanza è più felice, è perché ha pregustato il viaggio, lo ha vissuto, e poi lo ha consegnato alla memoria, che lo lustrerà fino a renderlo perfetto (o, se è stato una catastrofe, lo trasformerà in un aneddoto, il che è ancora più divertente). Se il nostro frivolo materialista usasse la sua macchina per fare esperienze imprevedibili, uniche e socializzanti, come per esempio un viaggio con gli amici, avrebbe le stesse probabilità di essere felice.
Come a voler confermare questa tesi, di recente un altro studio è giunto alla conclusione che psicologicamente è molto più facile liberarsi delle cose inutili che si hanno in casa se prima si scatta una foto di tutto quello a cui si è affezionati. Sembra che le persone siano più disposte a separarsi dagli oggetti che amano se sanno che in seguito potranno riprovare certe emozioni guardandone una fotografia. Il che solleva un interrogativo: e se avessero risparmiato i loro soldi collezionando una serie di foto fin dall’inizio?
(Traduzione di Bruna Tortorella)
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano britannico The Guardian.