Probabilmente ormai avrete già rinunciato ai vostri buoni propositi per il nuovo anno, a meno che siate molto saggi, nel qual caso non li avrete mai fatti. Tuttavia, anche in mancanza di progetti specifici per l’anno appena cominciato, all’inizio di gennaio è quasi impossibile sfuggire a quel fenomeno che i ricercatori, com’era immaginabile, hanno definito “effetto nuovo inizio”: la sensazione che sta cominciando un periodo nuovo e diverso della nostra vita, e che l’anno precedente appartiene ormai al passato (questo può succedere anche a settembre, perché il ricordo dell’anno scolastico è profondamente impresso nella nostra psiche).
Vari studi dimostrano che questi “punti di riferimento temporali” ci spingono a fare un bilancio della nostra vita, quello che non dimostrano è che sia di una qualche utilità. Forse l’effetto nuovo inizio ci dà un breve momento di slancio, ma nella maggior parte dei casi provoca aspettative poco realistiche e di conseguenza delusioni. Siamo così eccitati all’idea di apportare enormi miglioramenti a un qualche aspetto della nostra vita che consideriamo insufficiente qualsiasi altro cambiamento più concreto e modesto.
Gestire le aspettative
Oggi che viviamo nell’infernale universo distopico dell’informazione, è facile immaginare che corrano lo stesso rischio anche le nostre aspettative sul mondo in generale.
Siamo tentati di dare per scontato che questo deve assolutamente essere l’anno in cui la febbre della menzogna, dell’incompetenza e della confusione scenderà. Si arriverà all’impeachment di Trump? A un secondo referendum sulla Brexit? Finalmente capirò il sistema bitcoin?
Ma se nessuna di queste cose accadrà, le mie aspettative avranno solo dato luogo a un 2018 ancora più triste e disorientante, e questo anche se succederanno altre piccole cose positive sulle quali sarebbe davvero valsa la pena di appuntare le mie speranze.
Non dobbiamo meravigliarci se varie tradizioni filosofiche dicono che la cosa migliore potrebbe essere non avere nessuna aspettativa
Ora voi penserete che il nocciolo del problema siano le aspettative troppo alte. E in effetti per un po’ mi sono trastullato con l’idea che la soluzione sia scegliere volutamente di abbassarle. Questa è la logica alla base dell’equazione “felicità=realtà–aspettative”.
Il che significa che se le nostre aspettative sono abbastanza basse la nostra vita potrebbe essere quasi impeccabile (come si suol dire, la realtà dimostrerà sempre che i pessimisti avevano ragione o li lascerà piacevolmente sorpresi).
Una sovrapposizione superflua
Ma mantenere le aspettative al minimo non è molto meglio: se le aspettative troppo alte sono destinate a provocare delusioni in futuro, quelle troppo basse rendono deprimente il presente. Perciò non dobbiamo meravigliarci se un ritornello ricorrente in varie tradizioni filosofiche, la più ovvia delle quali è il buddismo, dice che la cosa migliore potrebbe essere non avere nessuna aspettativa.
“Cosa ci guadagniamo a mettere un limite alle cose che non possiamo controllare?”, si chiede Jason Fried, autore di vari libri sul lavoro. “Un tempo avevo l’abitudine di aumentare mentalmente le mie aspettative ogni giorno”. Ma “confrontare continuamente la realtà vera con quella immaginata è faticoso e usurante, e spesso ci toglie la gioia di vivere qualcosa per quello che è”.
Le aspettative sono una sovrapposizione superflua alla vita, ci fanno vivere mentalmente nel futuro e ci fanno sentire abbattuti quando gli eventi reali non sono alla loro altezza, anche se non sono affatto disprezzabili. Ho il sospetto che non sia possibile, e neanche desiderabile, rinunciare del tutto ad avere aspettative. Ma mi sembra un ottimo proposito per l’anno nuovo non tanto avere aspettative più basse, quanto averne di meno. Solo, non aspettatevi di essere perfettamente capaci di farlo.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.
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