È sempre una buona cosa se la prima puntata dell’anno di questa rubrica esce qualche giorno dopo il 1 gennaio. Significa che, con un po’ di fortuna, tutti coloro che poco saggiamente hanno fatto grandiosi progetti per l’anno che li aspetta – fare ginnastica tutti i giorni, staccarsi da Facebook, essere più pazienti con i figli e cose del genere – ci avranno già rinunciato. È una fase importante da attraversare, perché solo in quel momento, una volta crollate tutte le nostre illusioni assolutistiche, possiamo vedere chiaramente come sfruttare al meglio i dodici mesi futuri.

Anzi, sempre più spesso questo è un atteggiamento sensato da avere nei confronti del mondo in generale. Adesso che non c’è più la possibilità di un risultato positivo della Brexit, adesso che non dobbiamo più chiederci se il mondo è gestito da una misteriosa cricca di idioti incompetenti, possiamo rimboccarci le maniche e cominciare a vivere tenendo conto di quanto dice l’ambientalista Derrick Jensen: “Una delle cose positive, dopo che tutto è andato a puttane, è che ovunque ci giriamo, c’è un gran lavoro da fare”.

Cosa può significare questo in pratica nel 2019? Be’, di sicuro significa almeno una cosa: dovremmo usare di meno internet. Questo sarà l’anno in cui abbandonare i social network non sarà più “una scelta di vita un po’ hipster” ma una “condizione per mantenere la sanità mentale”. Twitter, in particolare, supererà la soglia critica dell’orrore, scatenando defezioni di massa. Ma più in generale, io cercherò di applicare la filosofia che lo scrittore Cal Newport definisce “minimalismo digitale”, come recita il titolo del suo libro che sta per uscire.

Sembra assurdo esserci bevuti la storia di Facebook secondo cui più siamo connessi e meglio è

Il minimalismo digitale non è affatto un rifiuto luddista della tecnologia, significa semplicemente decidere di alzare l’asticella, pretendendo che prima di concedergli il nostro tempo e la nostra attenzione, qualsiasi congegno, app o attività online dimostri di poter influire positivamente sulla nostra vita (presto, senza pensarci troppo: cancellate subito le app dei social network dal telefono! Potrete sempre controllarli dal computer, ma lo farete meno).

Sembra assurdo esserci bevuti la storia di Facebook secondo cui più siamo connessi e meglio è. I veri contatti umani, ormai è evidente, li abbiamo quando non cerchiamo di averli con troppe persone contemporaneamente.

C’è anche un discorso più ampio, che converrebbe tenere presente durante l’intero anno: il tempo e l’attenzione sono risorse così limitate che il motivo per lasciar entrare qualcosa nella nostra vita non può essere semplicemente “Ne vale la pena?”. Se bastasse questo, ci sarebbero un centinaio di progetti per migliorarci che dovremmo avviare nel 2019, e altrettante buone cause alle quali dedicarci. Ma in realtà, una volta che ci siamo occupati delle cose non contrattabili della nostra vita, avremo pochissimo tempo da dedicare al miglioramento di noi stessi e del mondo.

Se volete riuscire a mantenere un buon proposito per il nuovo anno, decidete di non flagellarvi perché non riuscite a fare di più. Nelle questioni personali, come in politica, il 2019 dovrebbe essere l’anno in cui scegliere le nostre battaglie. Come per l’affermazione di Jensen che ho citato prima, non si tratta di cinismo né di disfattismo. Al contrario: si tratta della differenza tra sentirsi intrappolati e darsi da fare.

Consigli di lettura
Nel suo libro del 2017 How to be alive, Colin Beavan dimostra che aiutare se stessi e aiutare il mondo possono essere attività che si rinforzano a vicenda.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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