Il nuovo coronavirus è arrivato in America Centrale, ma c’è arrivato timidamente. Il 12 marzo l’Honduras ha confermato i primi due casi. Il giorno dopo il Guatemala ha annunciato di avere un contagiato. Il presidente del Salvador ha invitato i parlamentari a dichiarare lo stato d’emergenza (che permette di limitare le libertà di spostamento, di espressione e di associazione e consente alla polizia di effettuare arresti arbitrari), mentre il Guatemala ha dichiarato lo stato di calamità. Una delle regioni più povere del continente è ormai convinta che la pandemia si diffonderà tra i suoi abitanti.
In Salvador sui social network non si parla d’altro e dai centri di quarantena, creati per le persone da poco entrate nel paese, arrivano le prime lamentele. Gli ospedali privati sono pieni di persone che credono di avere dei sintomi e i giornali sono pieni di notizie sugli spettacoli cancellati. Come tutto quello che succede in America Centrale, insomma, la diffusione del virus è segnata dal classismo.
Da quando il Salvador ha dichiarato la quarantena per ogni suo cittadino in arrivo nel paese, l’11 marzo, sembra che uno dei principali problemi legati alla pandemia sia l’esistenza di un centro d’accoglienza molto scomodo e caldo nella parte est del paese, nel quale le persone appena rientrate da un viaggio all’estero devono dormire su delle brande, in un capannone, insieme ad altre persone, condividendo servizi igienici spartani. Giornali e tv intervistano i viaggiatori che si lamentano di quanto sia scomodo vivere per trenta giorni in condizioni così precarie. Si discute di questo ma nessuno si chiede se queste misure siano le migliori per affrontare la situazione. Considerando, per esempio, che un viaggiatore che arriva in Salvador, dove al momento non ci sono casi confermati, può ritrovarsi a dormire vicino a una persona arrivata dagli Stati Uniti, dove i casi sono migliaia.
Ci sono 13,5 milioni di poveri in questa piccola regione nella quale il nuovo coronavirus ancora non ha fatto tutti i danni che può fare
Un’altra delle notizie più ricorrenti è la corsa ad accaparrarsi i prodotti nei supermercati. Molte persone si sono affrettate a svuotare interi scaffali di cibo in scatola, carta igienica, acqua, qualsiasi cosa, ma in grandi quantità. Anzi, mi correggo, non “le persone”, ma solo le persone che possono permetterselo.
È questo il punto. Il problema, per la maggioranza dei centroamericani, non sono né le lunghe file negli ospedali pubblici né le condizioni d’accoglienza per chi torna da un viaggio né il caos consumistico. Perché nei paesi della regione la maggioranza delle persone non si fa visitare negli ospedali privati, viaggia solo in autobus – per andare a lavorare – e non compra niente in quantità eccessiva, perché i loro stipendi – sempre che li ricevano – non sono abbastanza alti. In Salvador, un paese con sette milioni di abitanti, due milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà. In Honduras e Guatemala circa la metà della popolazione vive in condizioni di povertà, senza accesso a beni essenziali. Questo significa, approssimando per difetto, che ci sono 13,5 milioni di poveri in questa piccola regione nella quale il nuovo coronavirus ancora non ha fatto tutti i danni che può fare. I tre paesi del nord dell’America Centrale appaiono regolarmente, da decenni, nelle prime cinque posizioni delle classifiche dei più miserabili del continente.
Parlando di persone che si spostano, in questo preciso momento ci sono persone il cui dilemma non è se mettersi in viaggio o andare in quarantena in un capannone troppo caldo. Ci sono persone che viaggeranno qualunque cosa accada e dovranno fare i conti con la quarantena, perché non hanno altra scelta. Sono i soliti, quelli che viaggiano perché non hanno alternativa: i migranti espulsi dagli Stati Uniti.
Il 12 marzo, durante una conferenza stampa telefonica, il commissario ad interim per le dogane e la protezione delle frontiere degli Stati Uniti, Mark Morgan, ha dichiarato che i voli per i cittadini centroamericani espulsi continueranno a partire regolarmente, indipendentemente da quarantene, calamità e stati d’emergenza.
Ma la cosa non riguarda solo le persone espulse. Quattro ore prima che il presidente del Salvador annunciasse la quarantena nazionale, il sito d’informazione statunitense Buzzfeed ha rivelato che il 6 marzo il presidente salvadoregno si è riunito con alcuni funzionari di Trump per mettere a punto un accordo secondo cui il Salvador deve accogliere i migranti che chiedono asilo negli Stati Uniti, perché aspettino lì finché le loro richieste non sono esaminate. Proprio così: El Salvador, paese dal quale migliaia di persone scappano per cercare rifugio nel resto del mondo, è un “paese sicuro” che riceverà quest’anno più di duemila persone che chiedono asilo negli Stati Uniti. Anche l’Honduras accoglierà queste persone. Il Guatemala ha già ricevuto circa ottocento di questi richiedenti asilo da novembre scorso.
Poi c’è il Messico, che in quanto a fermare e a espellere i migranti non vuole sfigurare di fronte agli Stati Uniti. L’Istituto nazionale delle migrazioni ha annunciato che continuerà a espellere centroamericani con autobus e aerei. Nel 2019 circa 3.200 persone sono state espulse verso un piccolo paese come il Salvador, perlopiù da Messico e Stati Uniti. Da quando è scoppiata la pandemia le autorità di tutti i paesi ripetono di non mettersi in viaggio, soprattutto da paesi dove ci sono persone contagiate, come Messico o Stati Uniti. A meno che tu non sia un migrante centroamericano: in tal caso le raccomandazioni non valgono.
Meno di due dollari al giorno
Ci si raccomanda di lavarsi le mani più volte al giorno, e di farlo con attenzione. Ma nei paesi centroamericani una grande percentuale della popolazione non ha accesso all’acqua potabile. Migliaia di queste persone pagano per averla, ma a causa della pianificazione urbana, che ha permesso la costruzione di quartieri spontanei arroccati sulle colline, i sistemi idraulici vecchi e danneggiati fanno in modo che queste persone abbiano a disposizione solo un sottile filo d’acqua, per un’ora o due, all’alba. Altri non hanno neanche quello. In questi paesi, se uno vive nelle zone più ricche e possiede una cisterna che accumula acqua negli orari in cui il servizio funziona, può lavarsi le mani come indicato nei manuali. Ma se uno deve estrarre l’acqua dai pozzi con sudore e muscoli, probabilmente non seguirà alla lettera le istruzioni dell’Organizzazione mondiale della sanità.
Salutarsi con il gomito, dicono. Ancora meglio, da lontano, se possibile. Nelle zone rurali dell’Honduras una persona su cinque vive in condizioni di povertà, cioè con meno di 1,90 dollari al giorno. Queste persone, molte delle quali si guadagnano da vivere vendendo quel che riescono a procurarsi, viaggeranno in autobus per raggiungere il paesino più vicino, reggendosi al corrimano più vicino, senza alcun gel igienizzante, che costa alcuni centesimi a flacone, si riforniranno in un qualche mercato e si muoveranno da un posto all’altro per cercare di vendere quel che hanno coltivato. Queste persone stringeranno mani per concludere degli accordi e tenderanno il palmo per ricevere monete, quando verranno pagati. Perché se non lo faranno a ucciderle non sarà il virus, ma la fame. State tranquilli, perché queste persone non affolleranno i supermercati per accaparrarsi cose.
Il coronavirus è arrivato in questa regione già afflitta da varie calamità. Ora farà la sua parte. Perché il resto, cioè costruire società con un abisso profondo tra classi alte e basse, è già stato fatto da decenni.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Cosa succede nel resto dell’America Latina
Al momento sono 17 i paesi latinoamericani con casi confermati di Covid-19. Ecco le misure che hanno adottato finora:
- Argentina È il paese dove c’è stato il primo morto per Covid-19 nel continente. Il 15 marzo il governo ha chiuso tutte le scuole e le università per 14 giorni e ha chiuso le frontiere per un mese.
- Bolivia Finora i casi confermati sono 11. Il governo ha dichiarato l’emergenza nazionale e ha chiuso tutte le scuole fino al 31 marzo. Inoltre ha dispiegato 10mila agenti di polizia alle frontiere.
- Brasile I contagiati al momento sono 200. Il governo di Jair Bolsonaro è stato criticato per non aver preso sul serio i rischi dell’epidemia. Alcuni stati, tra cui quello di São Paulo, hanno deciso di agire autonomamente e hanno preso misure più severe.
- Colombia I casi confermati sono circa quaranta. Il governo ha annunciato lo stato d’emergenza sanitaria fino al 30 marzo. Inoltre ha chiuso la frontiera con il Venezuela e ha cancellato i voli provenienti da Europa e Asia. Sono vietati gli eventi pubblici con più di 500 persone. La Colombia è uno dei paesi più colpiti dal crollo delle borse, per questo il governo ha annunciato tagli alle tasse e sussidi per i settori più colpiti, a cominciare dal turismo.
- Costa Rica Ci sono almeno 30 casi confermati. Sono state chiuse le scuole per almeno 14 giorni e sospesi i viaggi all’estero degli impiegati pubblici.
- Cuba Ci sarebbero quattro casi confermati. I voli in arrivo non sono stati cancellati, ma sono aumentati i controlli su chi proviene da Italia, Cina, Iran, Giappone, Corea del Sud, Germania, Francia e Stati Uniti.
- Cile Nel paese ci sono decine di casi confermati. Il 15 marzo il governo ha chiuso le scuole e le università per 14 giorni e ha bloccato le visite alle case di riposo per trenta giorni. A partire dal 18 marzo saranno vietati gli eventi pubblici con più di 200 persone.
- Ecuador Ci sono circa trenta casi confermati. Chi torna dalle zone a rischio, tra cui Italia, Spagna e Cina, deve restare in casa per 14 giorni. Sono state chiuse le scuole e vietati gli eventi pubblici.
- Guatemala Finora un caso registrato. È vietato l’ingresso di persone che arrivano da Cina, Iran, Italia, Spagna e Corea del Sud.
- Honduras I contagiati al momento sono sei. Il 15 marzo il governo ha ordinato ai lavoratori del settore pubblico e privato di restare a casa, ha deciso di bloccare temporaneamente tutti i voli e ha sospeso i trasporti pubblici. Queste misure dureranno sette giorni.
- Messico Ci sono circa 50 casi confermati. Il governo ha sospeso le attività scolastiche fino al 20 aprile. Non ci sono restrizioni sui voli in arrivo, ma solo controlli maggiori per i passeggeri dei voli internazionali.
- Panama I casi confermati sono circa 50. Il presidente ha dichiarato lo stato d’emergenza nazionale e ha annunciato misure per sostenere le imprese.
- Paraguay Al momento ci sono circa dieci casi confermati. Il governo ha sospeso temporaneamente le attività scolastiche e gli eventi pubblici.
- Perù È uno dei paesi più colpiti. Il presidente ha chiuso le frontiere per 15 giorni e imposto una quarantena generale. Cancellati i voli da Europa e Spagna e ritardato l’inizio dell’anno scolastico, previsto per il 30 marzo.
- Repubblica Dominicana Il 15 marzo i casi registrati erano nove. Il governo ha sospeso l’attività scolastica negli istituti pubblici e privati in questi giorni per disinfettare le aule.
- Uruguay Il 13 marzo ha annunciato di avere i primi casi. Il governo ha chiuso le scuole per due settimane e ha vietato gli assembramenti pubblici.
- Venezuela Finora i casi sono circa dieci. Il presidente ha imposto la quarantena in sei province. Inoltre ha cancellato i voli dall’Europa, dalla Colombia, da Panama e della Repubblica Dominicana.
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