Quindici giorni fa ero in una libreria di Bologna con due amici e una giornalista di Radio Nettuno ci ha fermato e ci ha chiesto: “Siamo in diretta per Radio Nettuno, volevamo farvi una domanda: ma voi lo sapete che il 23 novembre si vota?”. E mi ha messo il microfono sotto la bocca e io ho risposto: “No, io non lo so”.
E mi è piaciuto molto, io sono un tipo che tende a compiacersi, delle cose che dice, e mi è piaciuta molto la calma con la quale ho risposto a quella domanda, che io di solito quando mi intervistano mi agito sempre, invece lì ero stato perfettamente a mio agio, a dire che non sapevo che il 23 di novembre si sarebbe votato per le regionali, e se quella giornalista avesse voluto farmi delle altre domande, io avrei avuto anche delle idee su cosa dire alle domande che lei mi avrebbe fatto, se me le avesse fatte, solo che non me le ha fatte allora non le ho risposto.
E quando poi Internazionale mi ha telefonato e mi ha chiesto di scrivere qualcosa sui risultati delle elezioni regionali dell’Emilia-Romagna, io ho pensato: “Guarda, c’erano proprio due o tre risposte che erano un paio di settimane che aspettavano, capita proprio a proposito questa telefonata di Internazionale”.
Solo che poi, dopo che ho messo giù con Internazionale, sono andato a vedere i risultati e mi hanno un po’ sconfortato, i risultati delle regionali dell’Emilia-Romagna.
Perché io, se la giornalista di Radio Nettuno mi avesse chiesto come mai non sapevo la data in cui si votava, le avrei risposto che io, negli anni, avevo maturato dei comportamenti elettorali molto semplici che si potevano riassumere così: che per dare il mio voto a qualcuno, io avevo bisogno che quello lì che votavo avesse un unico requisito: che fosse uno che non aveva la faccia tosta di presentarsi candidato.
Uno che non avesse la faccia tosta di presentarsi candidato potevo pensarci, anche, di votarlo, uno che aveva la faccia tosta di presentarsi no, allora per quello non sapevo che il 23 di novembre si sarebbe votato, perché tanto sapevo che anche questa volta non sarei riuscito a trovare nessuno, tra i candidati, che non aveva avuto la faccia tosta di candidarsi e quindi, anche questa volta, come succedeva ormai da vent’anni, non sarei andato a votare.
Solo che quando, dopo la telefonata di Internazionale, sono andato a vedere i risultati elettorali, il primo dato che sono andato a vedere è stata l’affluenza e è stato anche l’unico, è bastato quello, per sconfortarmi, che quando ho visto che erano andati a votare meno del 38 per cento degli aventi diritto, mi sono accorto che io, con la mia scelta di stare a casa, ero in maggioranza, che è una cosa che a me, che nella mia bastiancontrarite tendo a compiacermi della mie scelte originali, non piace moltissimo, e è da quando ho visto quel dato che penso che, se voglio esser coerente, la prossima volta il mio comportamento elettorale, che in questi ultimi vent’anni mi ha dato così tante soddisfazioni, forse è ora di cambiarlo, purtroppo, vedremo.
Paolo Nori è nato a Parma nel 1963, abita a Casalecchio di Reno e scrive dei libri, l’ultimo si intitola Siamo buoni se siamo buoni (Marcos y Marcos 2014).
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