Donatella Calabi, Venezia e il ghetto
Bollati Boringhieri, 186 pagine, 15 euro
Il 29 marzo 1516, il Senato della repubblica veneziana stabilì che gli ebrei dovevano abitare nel “geto”, poi modificato in “ghetto” dalla pronuncia ashkenazita. Ora Venezia celebra i cinquecento anni del ghetto e il ruolo fondamentale degli ebrei nella storia della città con un programma di mostre e iniziative. Tra cui spicca l’uscita di questo libro di Donatella Calabi, studiosa di storia dell’architettura. È un saggio rigoroso e ricco di dati e dettagli. Calabi racconta l’evoluzione urbanistica dei quartieri ebraici di Venezia, nel contesto delle condizioni legali, economiche e sociali degli ebrei nei secoli.
Emerge una Venezia commerciale, cosmopolita e fondamentalmente laica, con una presenza ebraica variegata, proveniente da Nordeuropa, Spagna, Portogallo, impero ottomano e altre parti d’Italia. Più che oppressi, gli ebrei sono regolamentati e collocati nel ghetto. Anche greci ortodossi e musulmani ottomani erano obbligati a vivere in certe zone della città. A tutti i livelli dell’economia veneziana gli ebrei erano essenziali: dai robivecchi e banchi di pegno fino all’alta finanza e al commercio internazionale. Gli ebrei più importanti avevano rapporti con l’aristocrazia veneziana. Venezia e il ghetto è un libro dal tono accademico ma che, nell’insieme, seduce anche il lettore comune.
Questo articolo è stato pubblicato il 22 aprile 2016 a pagina 90 di Internazionale, nella rubrica Italieni. Compra questo numero | Abbonati
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