Perché un governo – in particolare uno sempre al centro dell’attenzione mondiale come quello degli Stati Uniti – pubblica i documenti ufficiali che dovrebbero spiegare la sua strategia politica globale e le sue priorità in materia di difesa? Che senso ha far sapere a tutti, compresi i propri nemici, quali sono le preoccupazioni e i progetti per il futuro?

Non voglio certo dire che i governi debbano tenere segrete queste informazioni. Anzi, nei confronti dell’opinione pubblica ogni governo ha il dovere di dichiarare quali sono le sue priorità: se poi le sue scelte non piacciono agli elettori, il voto le boccerà.

I più cinici obietteranno che ogni amministrazione statunitense, dopo un anno di governo, propone un piano “per la riduzione del deficit”, uno “per la riforma dell’assistenza sanitaria”, uno “per il miglioramento della pubblica istruzione”. Poi non cambia nulla, ma questo non impedisce al governo di illustrare in dettaglio le sue intenzioni.

Ma è davvero saggio farlo in un campo pieno di insidie come quello della strategia internazionale e militare di un paese? Sono mesi che ci penso e intanto leggo e rileggo i due documenti più importanti dell’amministrazione Obama sulla situazione mondiale e sulla linea politica del governo.

Il dipartimento della difesa ha pubblicato a febbraio un documento di 105 pagine, approvato dal segretario alla difesa Robert Gates, che s’intitola Quadrennial defense review.

Contiene la valutazione, richiesta dal congresso, della situazione delle forze armate e delle strategie militari degli Stati Uniti, e dovrebbe costi-tuire un’approfondita analisi delle sfide a cui si trova di fronte la potenza numero uno del mondo. Tre mesi dopo, a maggio, la Casa Bianca ha reso di pubblico dominio la sua National security strategy, approvata dal presidente Obama in persona.

Non è questa la sede per fare un confronto critico tra i due documenti. La musica è più o meno la stessa in entrambi. Mi sembra che valga la pena, però, porre due interrogativi più generali. Primo: a che servono? Secondo: quali sono le priorità stabilite dall’uno e dall’altro?

Il primo interrogativo è forse quello a cui è più facile rispondere: servono per le pubbliche relazioni. Spesso Washington è stata accusata di non avere una visione complessiva dei problemi internazionali né una “grande strategia”. Un altro rimprovero che le è stato mosso è che le rivalità tra settori diversi del governo rendono difficile anche ai massimi dirigenti vedere il quadro d’insieme.

Il governo statunitense presenta la sua strategia per la sicurezza nazionale anche per confutare queste critiche. Ma cosa ci dicono questi solenni documenti sulle priorità che l’amministrazione Obama si è data per i prossimi anni? Be’, ammettiamolo: non molto.

Dei due, il più inconsistente è il documento della Casa Bianca. Come quello del Pentagono si apre con l’affermazione che gli Stati Uniti sono “una nazione in guerra”, ma poi non spiega da nessuna parte perché, se questo è vero, la mobilitazione in corso non è neanche un ventesimo di quella in cui ci siamo impegnati l’ultima volta che abbiamo combattuto una grande guerra. A quanto pare o gli Stati Uniti fingono di essere in guerra o sono in guerra davvero ma non vogliono pagarne gli inevitabili costi.

Sono entrambi atteggiamenti pericolosi. Il terrorismo, il riscaldamento globale, gli stati falliti e le armi di distruzione di massa non sono un vero elenco di priorità strategiche.

Inoltre, la verità è che definire le reali priorità strategiche e operative degli Stati Uniti – cioè dargli un ordine di precedenza – non piace ai militari, perché hanno paura di rimetterci.

Dichiarare che l’ascesa della Cina è la minaccia più grave agli interessi americani conviene alla marina, forse anche all’aviazione, ma non all’esercito. Dichiarare che la priorità è schierare più soldati sui campi di battaglia va benissimo per i marines e per l’esercito, ma suona malissimo alla marina.

Insomma, tutti questi documenti quadriennali in cui si valutano le priorità della difesa devono sempre mediare tra molte esigenze contrastanti, cercando di assegnare a ognuno una fetta di torta, senza mai riuscire ad avere una politica strategica coerente e ordinata.

In fin dei conti aveva ragione il diplomatico inglese Halford Mackinder secondo cui le democrazie riescono a pensare in termini strategici solo quando sono in guerra, ed è per questo che quelle in Iraq e in Afghanistan non sono vere guerre.

Gouverner, c’est choisir, governare è scegliere, dice un vecchio proverbio francese. Oggi, a giudicare dai due documenti pubblicati dall’amministrazione Obama, questo non succede. Gli Stati Uniti non hanno nessuna strategia per la sicurezza nazionale e nessuna chiara indicazione delle priorità, a meno che in una cassaforte della Casa Bianca o del Pentagono non sia custodita qualche valutazione top secret scritta con supremo acume e sangue freddo.

*Traduzione di Marina Astrologo.

Internazionale, numero 855, 16 luglio 2010*

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