Chi emetterà per primo il suo verdetto? Matteo Renzi, incaricato da sabato scorso di formare il 61° governo dalla nascita della repubblica italiana, nel 1946, e che finora ha ricevuto a Montecitorio le delegazioni di tutti i partiti per costruire la sua maggioranza? O i giurati del 64° Festival della canzone di Sanremo che è cominciato lunedì sera e che continuerà fino a sabato?
L’accostamento non è così assurdo come potrebbe sembrare. Dalla sua creazione nel 1950, come un’attrazione del casinò, il festival - che gli italiani considerano come una sorta di campionato del mondo della musica leggera - è la valvola di sfogo delle passioni nazionali. Sanremo riflette come uno specchio i dibattiti politici e sociali, i loro progressi, i loro passi indietro e le situazioni di stallo. Del resto questa è l’unica spiegazione del suo inossidabile successo, poiché non presenta più come in passato delle canzoni capaci di rimanere impresse per un decennio o più.
E Beppe Grillo lo ha capito bene. Il core business del festival non è più la canzone ma gli eventi che possono verificarsi. Invitato cinque volte nel passato, questa volta si è autoinvitato pagandosi il biglietto. Il suo arrivo lunedì sera davanti al teatro Ariston ha suscitato grande animazione fra i giornalisti. Grillo ne ha approfittato per insultarli come suo solito e per denunciare “l’incredibile spreco” della Rai che ritrasmette il festival e si assicura i migliori ascolti dell’anno. Nel momento in cui 13 milioni di italiani si apprestavano ad accendere la tv, questo discorso è passato con difficoltà. È come se un comico tedesco denunciasse la cattiva qualità del luppolo all’inizio dell’Oktoberfest di Monaco.
Ma Grillo ha trovato pane per i suoi denti. Infatti appena cominciata la trasmissione del festival due operai di un’impresa campana “non pagati da sei mesi” hanno minacciato di gettarsi dalle impalcature del teatro. Dopo un breve momento di panico, il presentatore Fabio Fazio ha ben gestito la situazione e ha convinto i due aspiranti suicidi (che avevano regolarmente pagato il loro biglietto di entrata, cioè 180 euro a persona) a scendere dall’impalcatura promettendo di leggere la loro lettera di protesta, cosa che ha fatto.
Nel corso della mattinata sono state invece le mogli dei due fucilieri di marina italiani in carcere da due anni in India ad andare a Sanremo per incontrare la stampa. Mentre New Delhi ha rinviato per l’ennesima volta il loro processo le due donne hanno affermato l’innocenza dei loro mariti, accusati di aver ucciso dei pescatori nel corso di un’operazione antipirateria, ma hanno rifiutato di assistere allo spettacolo perché “non era il momento di fare festa”.
L’edizione 2014 sembra aver trovato il suo filo conduttore, quello della protesta. Nel 2013 il festival aveva rischiato di essere rinviato per timore che il suo presentatore (ritenuto di sinistra) potesse influenzare gli elettori alla vigilia delle elezioni politiche. Nel 2012, quando Mario Monti dirigeva un governo di tecnici, la parola d’ordine del festival era: “Siamo tutti dei tecnici”. L’edizione 2011 aveva invece dato grande enfasi ai 150 anni dell’unità d’Italia in nome di “siamo tutti uniti”.
Monumento del kitsch e termometro della febbre nazionale, Sanremo è ancora una volta in sintonia con l’attualità - a meno che non sia il contrario - accogliendo i dibattiti veri o finti della penisola e offrendo loro la possibilità di un happy end o di una catarsi in musica e sotto i fasci di mimose della riviera ligure.
Ps: E in tutto ciò che fine ha fatto la musica? Finora il livello è tutt’altro che eccezionale.
(Traduzione di Andrea De Ritis)
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