Silvio Berlusconi ha ormai un nuovo filone da sfruttare. Le sue dimissioni da capo del governo nel novembre del 2011 e la sua sostituzione con Mario Monti non sarebbe altro che il frutto di un complotto. Ora rimane da trovare il colpevole. Dovrebbe trovarsi, secondo lui e i suoi sostenitori, da qualche parte fra Washington, sede del Fondo monetario internazionale, Bruxelles, dove regna la Commissione europea, Francoforte, dove si trova la Banca centrale europea, e Berlino, dove Angela Merkel lo ha già dimenticato.
L’uscita negli Stati Uniti del libro di Timothy Geithner (segretario al tesoro statunitense dal 2009 al 2013) Stress test, di cui il quotidiano La Stampa ha pubblicato il 13 maggio alcuni estratti, gli è bastato per denunciare un “golpe”, una volontà deliberata di eliminarlo, di far fuori l’ultimo presidente del consiglio veramente eletto dal popolo come Berlusconi ama ricordare. In un periodo in cui si parlava di lui solo per la sua presenza, quattro ore alla settimana, in un ospizio della periferia di Milano dove svolge dei “lavori socialmente utili”, eccolo tornato di nuovo sulla scena internazionale, in cui ormai era solo un lontano e imbarazzante ricordo.
Geithner scrive che al vertice europeo di Cannes (dal 2 al 4 novembre 2011) “alcuni funzionari europei” lo avevano avvicinato per convincere gli Stati Uniti a mettere Berlusconi di fronte al dilemma: l’Italia, la cui sorte sembrava simile a quella della Grecia, avrebbe ricevuto un aiuto dall’Fmi, in cambio delle dimissioni del presidente del consiglio. Gli Stati Uniti, spiega ancora l’ex segretario di Obama, avrebbero rifiutato di essere complici di questo accordo “anche se non sarebbe stato male avere una migliore leadership”. “Non volevamo avere il suo sangue sulle mani”, scrive Geithner.
L’Unione europea ha smentito con energia questa ricostruzione, che comunque piace a un Berlusconi in difficoltà nei sondaggi (almeno fino a venerdì 9 maggio, data a partire dalla quale non possono più essere pubblicati). Questa notizia infatti gli permette di ricompattare quello che rimane del suo schieramento, sempre pronto a sostenerlo nell’avversità. Dopo aver fatto della Germania, della Bce e dell’Fmi i suoi nemici dichiarati, dopo aver navigato a vista tra una campagna contro l’euro (ormai nelle mani di Beppe Grillo) e il ricordo del senso di responsabilità che ha dimostrato nell’esercizio del potere, l’ex Cavaliere denuncia adesso “un’alleanza di potenze straniere” per farlo cadere. Fare la vittima: questo è il ruolo che preferisce.
I suoi collaboratori ricordano anche che in un libro apparso qualche mese fa,
Ammazziamo il Gattopardo (Rizzoli), il giornalista americano Alan Friedman aveva già rivelato che la presidenza della repubblica aveva sondato nell’estate del 2011 Monti per sapere se era disponibile a prendere le redini del paese in caso di dimissioni di Berlusconi. Quest’ultimo è talmente persuaso che si tratti di uno dei più grandi scandali della storia italiana (paese in cui gli scandali di certo non mancano), che mercoledì scorso ha rimproverato alcuni giornali per non aver dedicato tutta la prima pagina a questa vicenda. Grazie all’improvviso riconoscimento ottenuto attraverso il numero e la potenza dei suoi nemici, Berlusconi pensa di aver diritto a più attenzione.
Ma in questo modo dimentica un po’ troppo rapidamente di non aver certo avuto bisogno di essere spinto da qualcuno per dimettersi; che le sue dimissioni sono seguite a un voto di sfiducia alla camera dei deputati, che meno di un anno prima aveva votato in senso contrario; che era già lo zimbello di tutto il mondo dopo le rivelazioni sul caso bunga bunga e la conseguente condanna a sette anni di prigione in primo grado per prostituzione minorile e concussione; che lo spread, che misura la differenza di rendimento tra le obbligazioni tedesche e italiane, aveva superato i 500 punti; che già nell’agosto del 2011 la Bce gli aveva inviato una drastica tabella di marcia; che ormai il presidente del consiglio non parlava più con il suo ministro delle finanze. E, infine, che gli italiani non ci hanno messo molto a dimenticarlo.
(Traduzione di Andrea De Ritis)
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