“Li ho spianati!”: Matteo Renzi non ama i giri di parole. Questa infatti sarebbe l’espressione che secondo i mezzi d’informazione avrebbe utilizzato riguardo alla direzione del Partito democratico riunita il giorno prima.
Convocata per discutere il testo che il governo presenterà al parlamento sulla riforma del mercato del lavoro, la riunione si è conclusa con un successo per il presidente del consiglio: 130 voti a favore, 20 contrari e 11 astensioni. La legge sulla riforma del lavoro dovrebbe migliorare le condizioni dei lavoratori più precari, ma anche limitare la portata dell’articolo 18 del codice del lavoro, uno dei pilastri della sinistra italiana, che protegge i lavoratori contro i licenziamenti indiscriminati.
I suoi avversari, guidati dall’ex primo ministro Massimo D’Alema e dall’ex segretario del partito Pierluigi Bersani, non sono riusciti a fermare Renzi, anche se si deve a D’Alema la migliore replica della serata: “Il progetto del governo è destinato a produrre effetti mediocri. Ci vogliono meno slogan, meno annunci e un’azione più ponderata”, ha affermato D’Alema, sintetizzando in una frase assassina tutto quello che gli oppositori rimproverano a Renzi.
Ma per la gioia del premier, gli oppositori sono per ora tanto numerosi quanto divisi e animati da interessi contraddittori. Tra questi ci sono ex comunisti, cinquestelle, rappresentanti della sinistra più radicale e sindacalisti, ma anche il direttore del Corriere della Sera, la conferenza episcopale e il proprietario della Tod’s, Diego Della Valle.
Tuttavia il premier non ha ancora vinto la battaglia, che infatti adesso si sposterà in senato dove il testo è in discussione. I parlamentari del Pd non sono tutti “renzisti”, sono stati eletti o rieletti nel febbraio 2013, quando la presidenza del partito era affidata a Bersani, soprannominato ironicamente da Renzi il “signor 25 per cento” a causa del cattivo risultato ottenuto all’epoca dal Pd.
Al senato gli emendamenti mirati a disfare il testo del governo sono sostenuti da 30 o 40 parlamentari di sinistra, un numero sufficiente per privare il governo della maggioranza.
“In fin dei conti in parlamento si vota allo stesso modo che nel partito”, vuole credere Renzi.
In effetti se il governo dovesse ritrovarsi in minoranza, si aprirebbe una nuova crisi politica con la conseguenza di andare a nuove elezioni. “Rompono?”, domanda Renzi. “E dopo? Vogliono andare a elezioni? E con quali voti?”. Le parole, riprese da un articolo della Repubblica del 30 settembre, non saranno state forse proprio quelle, ma riassumono bene lo stato d’animo del presidente del consiglio, autoritario e sicuro di sé.
Senza alternative né nel suo schieramento né a destra, Renzi ha puntato sul fatto che nessuno correrà il rischio di far sprofondare l’Italia, già in recessione, in una nuova crisi politica.
(Traduzione di Andrea De Ritis)
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