La sinistra italiana ne ha fatto il suo prodotto di punta, e per un po’ avevo quasi creduto che fossero una sua invenzione. Nel 2005 i giornalisti arrivarono da lontano per assistere alla vittoria di Romano Prodi alle primarie aperte, che sarebbe stata seguita da quella su Silvio Berlusconi alle elezioni nazionali pochi mesi dopo.
Incoraggiati da questo meccanismo, che funziona come una rampa di lancio per il candidato, il Partito democratico (Pd) ha proposto la consultazione dei militanti in tutte le salse, prima di elezioni locali e di quelle nazionali. A oggi Matteo Renzi deve alle primarie la sua unica vittoria “elettorale”, quella che nel 2014 l’ha portato alla guida del Pd. Ma davvero le primarie sono una panacea per tutti i mali?
Napoli, domenica 6 marzo. Qualcuno ha guadagnato qualche spicciolo dallo scrutinio per nominare il candidato della sinistra alle elezioni municipali di giugno. Con una telecamera nascosta, i giornalisti del sito Fanpage.it hanno immortalato alcuni quadri del Pd mentre corrompevano gli elettori: fino a dieci euro per un voto a favore di Valeria Valente, che ha poi superato di cinquecento voti il suo avversario Antonio Bassolino.
Roma, stessa giornata. Solo 44mila elettori di sinistra si sono presentati alle urne per scegliere tra i candidati alla successione di Ignazio Marino, costretto alle dimissioni. Roberto Giachetti ha vinto la consultazione, ma allo stesso tempo ne è uscito indebolito. Come strumento di legittimazione del candidato, le primarie sono efficaci solo a due condizioni: che nessuno imbrogli e che la partecipazione sia alta.
La destra in ordine sparso
Mentre la sinistra scopre i limiti della consultazione dei militanti, la destra ne scopre il fascino. Silvio Berlusconi, abituato a gestire il suo partito come un’azienda, è sempre stato contrario alle primarie, ma ormai non è più in grado di dettare legge. Incapace di mettersi d’accordo sul nome di un candidato sindaco per Roma, la destra ha organizzato le sue primarie in ordine sparso.
Ogni fine settimana un’elezione. Sabato 12 e domenica 13 marzo è toccato a Forza Italia proporre il suo candidato. In questo caso s’impone il singolare, perché in lizza c’era solo il candidato di Berlusconi, Guido Bertolaso, ex capo della protezione civile (più volte finito sotto esame).
Per aggirare i difetti delle primarie, il Movimento 5 stelle ha messo a punto un sistema di voto su internet con codici d’accesso. La vittoria del candidato è dunque incontestabile, anche se la partecipazione è spesso ridicola. Ma a Milano la scelta di Patrizia Bedori non è piaciuta alla direzione del Movimento. Dopo una campagna interna che ne ha tirato in ballo le competenze ma anche l’aspetto fisico, Bedori ha decido di gettare la spugna.
Tra imbrogli, scarsa partecipazione, candidato unico e vincitori sconfessati, viene da chiedersi se le primarie servano ancora a qualcosa che non sia tenere occupati i militanti.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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