1. The National, Runaway

Quelli che leggono il loro Dostoevskij camminando per strada, prima o poi, pigliano un palo in piena fronte: gente coraggiosa, come certe band che non fanno nulla per farsi notare, ma a un certo punto dici: toh, questi son quasi dieci anni che fanno musica eccellente. Galoppa verso la gloria, con High violet, questa band formata da Matt Berninger insieme a due paia di fratelli. Che potrebbero essere i Karamazov dell’Ohio, e sanno anche di R.e.m e di Leonard Cohen, di narrativa americana e di post-it pessimisti appiccicati al monitor di un Mac.

**2. John Grant,* Outer space***

Non molti umani hanno la stoffa dell’extraterrestre: eppure spesso bastano piccole cose, tipo suonare come una band californiana al tramonto degli anni settanta e non pavoneggiarsi mai con riferimenti ai propri “amici gay”. John Grant, ex leader degli Czars, si è messo in proprio, con grande franchezza e ironia, talento e frociaggine in Queen of Denmark, tra i pochissimi album dell’anno che non stufano neanche per un attimo; un Breakfast in America per gli anni dieci, per una belle epoque wifi, caramellata di nostalgie niente affatto indigeste.

3. Sursum Corda, A la merci du voyage

È difficile non voler almeno un po’ bene a un gruppo italiano che inserisce nei propri lavori titoli come La mia bisnonna è in buone mani. Al netto di qualche flatulenza naïf, la band del livornese “Nero” Sanzari e del suo compagno di schitarrate Piero Bruni gode comunque della vastità di orizzonti aperti, e di suoni puliti; ambisce golosamente a far poesia, non si perita di parlare di frattali, si concede refrain in francese e remake spaghetti di Lennon/McCartney. Alla mercé del viaggio, con valigie di cartone che traboccano di idee e strumenti preziosi.

Internazionale, numero 848, 28 maggio 2010

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