1. Mgz, We are the Beri Beri
“Mi chiamo Gennaro / mi chiamo Renato / sono il Beri Beri più rovinato”. Liberato dal vivo alla radio, e catturato nella recente raccolta La Bolla – Greatest Hits, è un implacabile heavy-techno-rap con l’effetto collaterale di ricordarci la voluttà di formare una tribù: una qualunque, purché in grado di marcare il territorio della gioventù casinara e formare un recinto d’appartenenza al di là della gabbia familiare. Un rito di passaggio scandito con precisione da un implausibile extraterrestre genovese, e scaraventato su un baccano dance saltato in padella: mirabile!
2. The Drums, It will all end in tears
Una band all’inizio è una tribù in sedicesimo: amici, compagni di studi, parenti elettivi uniti da gusti comuni. Poi, magari, arriva il successo: e allora la favola si sfalda. Per questo poi molti vanno alla ricerca delle band da piccole: le loro narrazioni sono più nitide, le idee più forti. I Drums sono la Band di Brooklyn (luogo comune alt.rock) in carica, e suonano come dei surfer dolcemente depressi seduti sui sassi, a scrutare un vasto orizzonte di riverberi e possibilità. Il mare è verdognolo e freddo, e sanno di poterlo cavalcare. L’album esce il 7 giugno.
3. The Black Keys, Sinister kid
Famolo vintage. A un certo punto ti accorgi che il presente non ti basta, e ricominci dalle sneaker di quando eri moccioso, dalla voglia di vinile, dalle regressioni che quando ti sentivi più avanti ti negavi. Questo stimato duo dell’Ohio lavora su un’ipotesi di passato glorioso, a base di ferraglia, rock & soul, gran rullanti, chitarre zeppe di riferimenti. Sempre tesi, come diceva il personaggio di Verdone. Ma a cosa? Non lo sanno bene neanche loro; ma a giudicare da Brothers, sta funzionando; suonano fieri di avere il sound più profondo in circolazione.
Internazionale, numero 849, 4 giugno 2010
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