1. Cesare Picco, Piano calling
Quelle volte che manco ti alzeresti dal letto, che le caviglie si piegano sotto la zavorra di piombo della mente, che tutto sembra inutile come è, conviene fuggire con il pianista dalla fine calligrafia. Picco, milanese che dà appuntamenti al buio portando il pubblico dentro e fuori l’oscurità a bordo di note educate all’essenziale, torna con un nuovo album che emana segnali. Piano calling forse è semplice vocazione allo strumento, e forse è quel potere limpido della musica, che chiama, come la vita. Come un codice morse per contattare l’anima.
2. Maps & Atlases, Be three years old
Regredire in maniera intelligente si può: prendere stilemi country e trattarli come una dimostrazione di matematica alla lavagna, poi a colpi di spugna, di spazzole e di texture ruminare su quel che resta del rock, senza mai annoiare. Sono quattro ragazzi ex del Columbia college di Chicago, si son dati un bel nome di band da sussidi didattici per la geografia, e con l’album Beware and be grateful provvedono alla mappatura di nuove aree di disincanto all’americana, fuori dalle morte gore del mainstream, verso nuove avventure tra riserve indie e leghe nerd.
3. Wora Wora Washington, Love it
A volte la regressione diventa aggressiva, si rinchiude in una Capannonia a nordest di techno noise e groovebox, assolda una poetessa di bordo, scarica nuovi software attraverso cui far scorrere l’energia sinusoidale da new new wave. Sembra di prendere piccole pillole dalle parti di Manchester, ma è un’energia tutta italiana, il sudore di tre ragazzi veneti spremuto e imbottigliato dalla label trevigiana Shyrec per il nuovo album Radical bending. Inebriato ma capace di stare in equilibrio al bivio tra rock ed elettrotecnica.
Internazionale, numero 944, 13 aprile 2012
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