1. Donald Fagen, I’m not the same without you

Diffidare del titolo. Fagen che (assicura) non è più lo stesso, è come il lupo cattivo che si dichiara vegan. La musica è sempre semiperfetta, tempo medio notturno-vivace, ottoni tirati a lucido, venature jazz, eleganza adulta. Ed è sempre quella, dai tempi di Nightfly, capolavoro del 1982 che già allora suonava retrò. Ecco, Fagen è il Zoff-Gentile-Cabrini del pop raffinato. E forse il suo nuovo album Broken Condos sarà il nuovo Nightfly, ma di certo non ci sono dubbi su una cosa: Donald Fagen è il buon vecchio Donald Fagen.

2. Mumford & Sons, I will wait

Sì, probabilmente questi Mumford sono una carovana affidabile, tengono bene la strada del sentimento onesto, non si ribaltano, si prendono il loro tempo (il nuovo album Babel segue a distanza di tre anni lo strepitoso Sigh no more che li lanciò) e però fabbricano coscienziosamente canzoni che aprono il cuore e non sfigurano in credenza. Artigiani e signorini, inglesi col banjo da passeggio, di piacevole compagnia: e assicurano “io ti aspetterò” noi ci confondiamo un po’ e glissiamo sul fatto che siano stati per mille giorni in giro per taverne.

3. Maximilian Hecker, The whereabouts of love

Con quella affidabilità un po’ maniacale che contraddistingue il prodotto tedesco, ecco un altro euro-rocker all’arrembaggio: Maximilian Hec­ker, 35 anni, cantante da Heidenheim an der Brenz, che qui, dopo anni di Sturm und Drang und collaudo, approda (sotto la produzione di Youth, che era il bassista dei Killing Joke) a uno stato di esaltazione rockmantica: nel tunnel of love col turbodiesel, Mirage of bliss è un bell’album, come una Autobahn di suono curato und dettagliato, al servizio di una tenerezza sempre più convincente che sorprendente.

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