1. Dino Rubino Trio, Pata pata

La canzone emblema della generosità di Miriam Makeba, gran sacerdotessa della musica sudafricana che se ne andò a morire a Castel Volturno (invitata da Roberto Saviano nel 2009 per portare musica ai disagiati, fu colta da infarto). Il giovane pianista-trombettista catanese Dino Rubino vi s’ispira al debutto per la Tuk Music di Paolo Fresu con Zenzi. Un intero album-tributo in cui il suo trio esplora in scioltezza confini e suoni from Sicily to Africa, come una Fiat 128 al safari rally, feste e fango e ninne nanne e marce funebri dall’ultimo sole al primo.

2. Edmondo Romano, Sonno Eliso

Jazz da meditazione, da un genovese d’Arabia. Che apre bocca e dà afflato intellettuale a tanti strumenti, il sax, il clarinetto, il duduk. Dice: e che è il duduk? Un flauto armeno, e sembra già la colonna sonora d’un Corto Maltese. O quelle musiche che movimentano certi gruppi di danza contemporanea trascendentali a lume di candela. Tocchi lievi lievi di elettronica, molto oriente, il buon vecchio Ares Tavolazzi al contrabbasso (ehi, è come un marchio di qualità vivente quest’uomo) e poi ci sono filosofie risonanti, per uno shining da dormiveglia di lusso.

3. Sineterra, Tango per Dì

Folk di un immaginario arcipelago mediterraneo-anglosassone: la lingua ufficiale se la canta la sarda Luisanna Serra inventandosi un suo vocabolario, come Jónsi ma con la voce alla Elisabeth Fraser; e i paesaggi sonori tra Napoli, San Francisco, Canterbury: l’autodidatta partenopeo Mario Musetta e Charles Fraser, trombettista etnomusicologo from California to Campania con borsa di studio, sono i doganieri della musica gentile e profonda raccolta nell’album Fadisia. È nuova anche l’etichetta: Agualoca record. O forse è solo un sogno all’acqua pazza.

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