1. Emilia Majello, Chiammame
Drive to Napoli: il film con Ryan Gosling guidatore taciturno e castigamatti aveva lasciato il segno anche sulla scena pop con il successone di A real hero del francese College. Ed ecco che pure nella colonna sonora di Reality s’insinua un analogo gommoso e sintetico inno dance dominato da eterea voce femminile. Per la sua colonna sonora, Matteo Garrone ha però il buonsenso di usare una vera eroina locale, ceramista oltreché veterana della club life circumvesuviana. Titolo partenopeo ma vocalizzi in inglese, come il cacio sugli elettroni.
2. Bruce Springsteen, State Trooper (Trentemøller remix)
Il formidabile Un sapore di ruggine e ossa di Audiard condivide con il film di Garrone un’efficiente colonna sonora di Alexandre Desplat, a cui ruba la scena questa versione plugged di una delle storie di meschini instradati nelle badlands d’America e imbottigliati dal Boss nel suo capolavoro depresso Nebraska. Il musico danese che remixa rispetta l’ossatura del pezzo, ma gli aggiunge una protesi techno in titanio, facendoci zompare tipo Pistorius come se non bastassero le stupende occhiatacce di Marion Cotillard.
3. Strip in Midi Side, Moody’s
“Moody’s lo fa per dispetto / chi sale e chi scende dal suo letto”. Da qualche parte tra Luigi Zingales e Rocco Siffredi, un gioco di alta tensione finanz-elettro-erotica con parole povere e sintetizzatori ridondanti come in un film di John Carpenter, e questi ragazzi che fanno intravedere ossa e chitarre e voglia di dire e, come dei Depeche Mode aspiranti bocconiani, interrogarsi (“chissà cos’è la Bce?”) e lanciare messaggi subliminali (alla Goldman sucks). Non ti amo più, amore è il loro secondo album, sembra datato 1985 ma il suono è di adesso.
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