1. Goran Bregović (feat. Eugene Hutz), Be that man
Il matrimonio s’aveva da fare, ed è ovviamente uno di quegli affari con il bassotuba zumpa zumpa, la vodka incontinente, i matti le salsicce i gatti da cortile le fanciulle da fienile: in un campo minato tra Sarajevo e Kiev si uniscono il vate delle bande balcaniche e il tenutario dei Gogol Bordello. E brindano (a Champagne for gypsies, come da titolo del nuovo album di Bregović) alla loro mascolinità slava, tutta sobbalzi scatti di violenza sbronze tristi e slanci poetici. Nasdrovje, o come diamine si dice; questa roba suona sempre bene.
2. Marco Cappelli’s Italian Surf Academy (feat. Gaia Mattiuzzi), Deep deep down
Cappelli, strumentista napoletano, cavalca da maestro le chitarrine sixties surf stile Dick Dale, ciulate agli Stati Uniti da Ennio Morricone per farne un arredo centrale del cinema manigoldo e stiloso dei Django e dei Diabolik (rivedere il film di Mario Bava, annata 1968), poi saccheggiato da Quentin Tarantino, e da musicisti come John Zorn e Marc Ribot. Bottino rinvenuto e rivenduto, nell’album The american dream, agli stessi States. Con la Mode Records e il plauso del Wall Street Journal.
3. Pharm, L’africano
Folate di spirito Morricone/Zorn circolano anche in questo collettivo di romani choosy, educati a colonne sonore, avantjazz ed elettronica sperimentale, artefici di progetti multimedia commercialmente un po’ hopeless (sempre per dirla in slang Torino/Detroit), ma avere in formazione un addetto alle “videomanipolazioni” non ha prezzo. Per chi ama immergersi in ascolti avventurosi, il loro album senza titolo – sonorità in cerca di cineasti futuristi, mix di improvvisazioni in studio e performance dal vivo – ha un suo magnetismo Diabolik.
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