1. Ada vs. Ceri, Bevi
“Ti vedo proprio bene in ginocchio mentre preghi”. L’arroganza della gnocca fatta trap music, sottosottogenere randagio hip hop dance a singulti elettronici, prelevato da Miami e dintorni, filtrato Lady Gaga, condito dj underground remix. “Se dicessi come te che arrivi dalla strada / sì da corso Venezia dal negozio di Prada col vecchio che ti paga”. È anche gratis da prelevare sul suo sito (adareina.com) questa bustina di energia meticcia da milanese latina annata 1989, incarnazione glam di quelle creature borderline di cui scrive Gabriella Kuruvilla.
**2. Suz, Distant skies **
La spacciano per “cantautrice bolognese” ma siamo dalle parti di Bristol e non c’è traccia di Guccini in gonnella. E allora ecco il trip-hop al ragù. Arricchito dal bassista dei Casino Royale (Alessio Manna alias Blackworks), più producer newyorchese old school (KutMasta Kurt. Ehi, lavorava con i Beastie Boys). Molta sound consciousness; festa come se fosse il 1998 (Moloko, Neneh Cherry, Tricky). L’album, One is a crowd, è denso di psico-slow voluttà anglofone e malinconia allucinata. Riciclabile per l’era dei millennials diversamente corteggianti.
3. Delphic, Baiya
Girellare per Bristol con il produttore Tim Goldsworthy, che nel curriculum ha scritto Massive Attack. E adesso ha aggiunto questi quattro dell’ordine degli smanettoni di Manchester, con il loro electropop approvato dal comitato olimpico, il cui singolo Good life, usato per le cerimonie di Londra 2012, è però squalificato dal nuovo album, Collections. Dove invece domina questo singolo incombente, in cui si assaporano retrogusti Duran Duran e My Sharona. Potenziale hit da laboratorio, ma troppo bianca e anglosassone per fotterci. O no.
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