1. Calibro 35 feat. Manuel Agnelli, Ragazzo di strada
Sui titoli di coda di Said, film italotarantiniano a spasso su YouTube, ecco il reuccio degli Afterhours tratto in arresto dai Calibro, puristi del poliziottesco. Be’, tradisce la banda e canta. “Sono un poco di buono”: vocali aperte e un raschio maschio che s’incolla alla ruvida grana dell’asfalto vintage. Ottima cover dei Corvi che nei sixties italianizzavano, dolcificandola, I ain’t no miracle worker dei Brogues. Registrata live negli studi di Morricone, ha una marcia in più rispetto alle atmosfere pulp che pretende di accompagnare.
2. Füsch!, Sbando alle mancerie
Il titolo è adorabile, meglio ancora di Il complesso del primo maggio di Elio e le Storie Tese (che saccheggiano la musica su cui esercitano il loro sopraffino didascalico soufflé Facebook-ready, pronti ormai per il Quirinale); ma qui la sensazione non è quella del Gruppo col Messaggio. No: qui sono ragazzi che Se La Suonano senza cantarsela; un album nuovo (Mont Cc 9.0 First Act) con grandi gesti punkedelici, uno Zabriskie point ambientato nella casa sulla collina bergamasca, sperando che non salti in aria tutto a furia di fughe per bassi chitarre e batterie.
3. Heidi Vogel, Copacabana
Come titolo, non male nemmeno Turn up the quiet; alza il volume della calma l’album di ispirazione brasileira della Heidi Vogel, dotata vocalist della Cinematic Orchestra, (l’electrojazz, l’etichetta Ninja Tunes, i remix ultracool ecc). E allora vai con i Vinicius e i Tom Jobim della situazione; arrangiamenti carezzevoli, una chitarra aurorale sull’avenida Atlantica della dolcezza salina (e tá bem, alla fine pure un paio di remix cinematici per gradire). Nulla come la bossanova minimal per portare a spasso la primavera. Quella, e un frullato d’ananas e mentuccia.
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