1. Giorgieness, Magari sta sera

Dal cumulo di titoli che piove copioso dagli indie d’Italia, ecco spuntare un fiorellino: Noianess dei Giorgieness, band a trazione di scricciolo che canta in un monologo interiore che ti chiamo per dirti quanto ti odio ed è il compleanno di Björk. Di quelle vocine epidermiche, tutte brividi-lividi, nella galleria dei ritratti ci sono Maria Antonietta e Carmen Consoli vatessa delle viscere. E lei è Giorgia D’Eraclea, piccola Dolores O’Riordan da Sondrio, e rimane impressa; si spera meni un’esistenza serena, ma trasmette la giusta agitazione che dà vita alla musica.

2. Federico Cimini, Questo è il mio paese

Da San Lucido (Cosenza) proviene, filtrato dalla scena bolognese, questo giovine eppur rodato cantastorie amaretto al primo album, L’importanza di chiamarsi Michele. Fa un po’ impressione vedere il clip di questa canzone in cui, enunciando le varie amarezze legate al suo Paese, “porte aperte e case chiuse”, passa cartelli con varie icone, gesti e segnali; sembra un Francesco Nuti anni ottanta che fa una versione per dislessici del Subterranean homesick blues immortalato da D.A. Pennebaker nel magistrale documentario Don’t look back.

3. The Orb feat. Lee ”Scratch” Perry, Fussball

Kick de ball! Dopo tanti indianitaliani è bello pure astrarsi, spalmati su divani, degustare la shisha dell’arabo felice, il cioccolatte del caribbeo o la biretta del bavarese, contemplare su YouTube Robin van Persie che irride i pulcini del Feyenoord, giocare a videocalcio col Botafogo. Ecco, per quei momenti di cazzeggio, nulla di meglio di More tales from the orbservatory, in cui le colonne dell’electronica d’Inghilterra fanno all’amore con il cuore matto del vecchio professore giamaicano di dottrina del dub e dinamiche del riverbero.

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