1. Alan Rossi, My Sam Montana
Connie Gelati tini tini piccolini gelatini, un cono a forma di femmina un lalalalalallà e un ukulele azzurro e un cambio di gusto a fine estate: è la clip di questo pezzo da bikini del cantante dei Van Houtens, che costeggia il litorale dei tormentoni for tourists (fino alle baite altoatesine e lucatoni e pastaefacioli, Lino Toffolo docet) e corteggia maree di zucchero balneare con una marcetta scemetta wink wink che uno le farebbe una carezza per rassicurarla: sì, sì, sei tanto ironica, tanto bizzosa. Poi, capace che vada fortissimo tra Caorle e Lignano Sabbiadoro.
2. Sakee Sed, Jimmy è perso nel delirio
Dalla Bergamo felix rotolare giù il rock psico e vario ed energizzante di un power trio di mondo: uomini che hanno portato il loro Fender Rhodes finanche all’ombra del cedro di Pavullo nel Frignano, suonano una meraviglia, stridono di voce ma tracciano un loro percorso arcigno lungo le grandi songlines dei maestri americani e britannici, e dio sa che cosa vogliano dire, o anche perché intitolino Ceci n’est pas un ep il loro grappolo di canzoni (insomma, ep) pubblicato sulla loro etichetta Appropolipo records. Ma hanno idee e chitarre da prendere sul serio.
3. Delay Lama, Anyone can dance
Discomusic decostruita da monaci elettrificati. A volte suonano come gli Area, a volte come l’organetto dell’Nba, a volte come i film di Dario Argento, a volte sono tesi di elettronica. Non sono la cosa più immediata, cambiano ritmi e registri in continuazione, amano pensare e suonare complicato come le loro provenienze calabrotrentinocroate (con punto di convergenza a Pisa). E il loro ultimo album Hablacablah, disseminato di depistaggi sonori e titoli improbabili (Muore la moglie e lui per il dolore la segue dopo poche ore) è manna math per la lega nerd.
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