1. Gianmaria Testa, Le traiettorie delle mongolfiere
Masticare dubbi ben detti, brontolare nella barba di Ivano Fossati, riarrangiare come Paolo Conte, rimpiangere Fabrizio De André. Far passare vent’anni, pubblicare un’antologia dal vivo, chiamarla Men at work. Quasi tutto quello che fa Gianmaria Testa sa di lavoro e umanità, misurato come i suoi danke schön al pubblico di Graz. L’ombra della prevedibilità appena si insinua, scacciata dall’istinto di gratitudine per un artista maturo che tiene alto il discorso, uno schivo e teso di cui rimangono voce e parole sensate.
2. Massimo Volume, Compound
“Gli uccelli, sul tetto, la notte, insidiano i confini del nostro mondo perfetto”. E a loro chi gliel’ha detto? No perché i Massimo Volume suonano sempre autorevolissimi, con quella gravitas di basi musicali ponderose su cui Emidio Clementi declama il suo recitativo punitivo, pentitevi-dei-vostri-peccati, e là fuori è sempre guerra, apocalisse. Piani inclinati da cui cola pece, notte, metalli tossici, ombre, cose horror. Radiotrasmissioni di militari Usa prebombardamento. Aspettando i barbari è il nuovo album, un notiziario dell’inquietudine.
3. Au Revoir Simone, Love you don’t know me
Sono le cocche di David Lynch, ma si sa che egli si rallegra in presenza di cose inquietanti trainate da pianola elettrica e voci eteree. Inizia sospeso, quasi tipo Eye in the sky dell’Alan Parsons Project, questo pezzo da Move in spectrums, album fresco di fucina da queste tre brave ragazze di Williamsburg. Un verso, un piano e un rullante in ebollizione, come la scena dell’ascensore in Drive, ed è una proprietà della loro musica, danno l’impressione di non accontentarsi dell’alone filmico, e ce la possono fare, essere altro, e oltre.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it