1. Jean Paul “El troglodita”, Everything is gonna change
Eccolo! El troglodita è l’idolo del garage rock peruviano fine anni sessanta, insomma uno che faceva ancheggiare Mario Vargas Llosa nei peggiori bar della swinging Lima. Reperito, insieme ad altri gioiellini di un rock metallico ma venato di complicate ritmiche afrolatine alla Santana, flauti, e un certo gusto psichedelico di sognare americano poi messo a tacere dalla dittatura. Assaggiare, per credere, la fenomenale compilation Peru Bravo della Tiger’s Milk Records, vera pacchia vintage.

2. Paolo Benvegnù, Avenida silencio
“Di alberghi, di case, di transatlantici, di treni, di aeroplani e di automobili”, parla a suo dire nel nuovo album Earth hotel, pieno di indizi di amore e delle stanze in cui forse li trovò, nelle nebbie di un cantautorato intelligente ma più intuitivo che didascalico. Tradotto: non è che si capisca, ci si cala nelle atmosfere, nei suoni ben levigati. C’è una voce da farci pentire dei peccati, c’è una punta di compiaciuto ermetismo. Ah, e poi si evince che qualcuno guardava la serie tv Scandal, con un altro vocione che dice che ognuno vale la pena di essere salvato.

3. Mia Martini, Pequeño hombre
Le parole di Bruno Lauzi. Le musiche di Dario Baldan Bembo. E quella voce. Ah. Una delle canzoni più struggenti della storia, mezza trasposta in spagnolo fa ancor più paura, con quell’aria di tragedia domestica che si portano dietro parole come “es mi última batalla por ser feliz.” Brividi così nel doppio cd Straniera, che raccoglie tutte le canzoni di Mia Martini incise per i mercati ispanofoni, anglofoni (c’è anche We can work it out), germanofoni, ma insomma quanta nostalgia per questa piccola grande voce fuggita all’estero del mondo crudele.

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Questo articolo è stato pubblicato il 24 ottobre 2014 a pagina 98 di Internazionale, con il titolo “Avenida vintage”. Compra questo numero | Abbonati

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