1. Alessio Bondì, Di cu sì
Di chi sei? Interrogativo di nonna sicula che finge di dubitare dell’identità del nipotino per poi rimarcarne orgogliosa l’appartenenza. Figurarsi se il nipotino è cresciuto, e ha una barba folk e un temperamento di cantautore solare, un pesce in panza e una Vucciria col sorriso. Tutto l’album Sfardo è cantato in vernacolo panormita, eppure gronda la goduria comunicativa di uno che conta storie plasmando il dialetto come vuole, anche su stilemi blues o bossa (il modello è più Pino Daniele che Jeff Buckley), come un pongo fonetico con cui divertirsi.

2. Conchita Wurst, You are unstoppable
La donna barbuta dell’Europop nel nuovo singolo (l’album, Love respect, arriva a maggio) si accontenta: di fare un po’ la Céline Dion della situazione, di navigare grandi svolazzi orchestrali, di un volo ascensionale da top della classifica, ma con il pilota automatico. Lei aiuta la canzone a decollare, poi si dissolve in fuochi d’artificio e d’immagine: la vorremmo con più spessore, tipo una Shirley Bassey con i suoi temi di 007, invece non tira fuori l’artiglio ma accarezza, liscia il pelo e contropelo all’autostima di chi ascolta. Che, per carità, male non fa.

3. The Beards, No meaner man
Qui le barbe vere da finti banditi della Tasmania celano due veneti che tra maracas a sonagli, raffiche di chitarre metalliche tipo gli Stones di It’s all over now e un’attitudine alle ballad da cronaca nera, tra Nick Cave e Tom Waits, sono diventati un culto negli States. Circolano tra cercatori di pepite alternative e college radio, e pure il più barbuto dei mammasantissima, l’überproducer Rick Rubin, stravede per loro. Ora c’è la fresca antologia Spaghetti Americana, ed è un sollievo constatare che per una volta Ennio Morricone non c’entra nulla.

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2015 a pagina 86 di Internazionale, con il titolo “Wunder barb”. Compra questo numero | Abbonati

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