1. Radiodervish, Jaffa gate
Come quelli che hanno il loro posto dove mangiare il cous cous a Parigi: magari una volta o due ma sempre lì, sperando che non cambi. Ecco, la band più mediorientale d’Italia è così, e però nel nuovo album Café Jerusalem portano i loro dolci al cardamomo, i loro arpeggi di oud, la loro conviviale forma di misticismo in un localino a due passi dal Muro del pianto: non si accettano carte di credito, si canta in arabo, francese, talvolta inglese e italiano e si sognano amori israelopalestinesi. Chi crede di essere a due passi da Rondò Ramallah ha sbagliato strada.

2. Turkish Café, Porcellana fragile
Inno arabeggiante alla fragilità – virtù, non difetto – scritto sui tovaglioli di un caffè turco di Bruxelles, dove nel 2008 Julián “Julico” Corradini (argentino, chitarrista e voce) incontrò la cantante Veronica “Annie Hall” Punzo. Rodaggio da busker nelle piazze e strade delle Marche, concorsi, primo album, sbattimenti, una colletta internautica su Musicraiser per il nuovo album, Cambio palco, succosa centrifuga di tutte queste esperienze con profusione di idee e colori folk-pop, flicorni, bandoneón, violoncelli e questa resiliente ballata.

3. Pashmak, Ropes
Bella l’idea che tra indigeni milanesi lucani siculi il cantante (Damon Arabsolgar) abbia ascendenze iraniane, e il chitarrabassista Giuliano Pascoe statunitensi; e bel nome da dessert persiano per la band. Allo stesso modo, il nuovo album Let the waters flow offre filigrane sonore di lavorazione complessa: un intreccio elettroacustico di sinuosità e spigoli, ritmiche dispari e cambi di direzione: a volte sembrano i Massive Attack in apnea, a volte una sauna shoegaze, a volte un flamenco da chillout, a volte una electro berlinese. Mai meno che interessante.

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Questo articolo è stato pubblicato il 5 giugno 2015 a pagina 84 di Internazionale, con il titolo “Medioriente presente”. Compra questo numero | Abbonati

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