1. Giancane, Disagio
Il disagio è la condizione cronica di una generazione, e su questo parolone-tormentone il romano (già Muro del Canto) Giancane martella una canzone alla Just can’t get enough dei primi Depeche Mode. Sotto il vestito synth, una cosa violenta, in contrasto con l’impianto grafico dell’album Ansia e disagio, che è un garbato tentativo d’imitazione della Settimana Enigmistica. Ma da uno che dedica la canzone di maggior slancio passionale alla Peroni da 66 (endorsement spontaneo, chissà se remunerato) è giusto aspettarsi qualche sbalzo d’umore.

2. Bastard Sons of Dioniso, La seconda neve
Bello come certe canzoni vengano accompagnate da un battage meteorologico; il loro è un suono invernale, caldo, sa di legna da ardere, di vinili e vino rosso, di taverna e caminetto. I Bastard Sons sono rocker di montagna, matrice americana ma sgobboni del Triveneto, hanno chitarre ascensionali e un nuovo album, Cambogia, che è un tributo al produttore Gianluca Vaccaro. Scomparso prematuramente a maggio, non prima di averli aiutati agli esordi nel loro intento di collegare la statale 38 dello Stelvio con la route 66.

3. Chiara White, Praga
Su un gelicidio di carillon e chitarra acustica, glissa la voce di White, fiorentina, geologa con un’inclinazione evidente al viaggio, dalle grotte islandesi alle isole dello Ionio, in un album, Biancoinascoltato, con cui esprime il suo piglio di autrice. Una sorta di Penelope in fuga, sedotta da paesaggi sommersi. Sognatrice affiancata da un nostromo (Guido Melis, fonico, produttore, ex Diaframma) e da un equipaggio di musicisti capaci di dare corpo al viaggio. Di sostenerne il soffio, le metafore tra fiocchi e onde, le “ombre da musicare”, i ritorni via mare.

Questa rubrica è stata pubblicata il 15 dicembre 2017 a pagina 104 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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