1. Kruder & Dorfmeister, Johnson
Poca roba ma tanta, e sempre quella: trip hop, beat pigro e bassi dalle caverne del tempo, una voce blues che pare una Sweet home Chicago degli spiriti. Evviva, tornano i due austriaci avantissimo che con le K&D sessions inventarono un chillout dub immersivo da starsene panza all’aria come tartarughe a Ibiza per 126 minuti di fila. Un party del 1998 invecchiato molto bene, tanto che ora i due impassibili viennesi fanno seguito con il nuovo album, in arrivo: 1995. Cosa che fa pensare che misurino il tempo all’indietro, tipo Christopher Nolan.
2. Travis Scott, The plan
E a proposito del regista di Tenet: alla fine del suo nuovo thriller in ordine cronologico inverso (astruso, ma potente nel suo farci tornare indietro ai tempi del miglior James Bond e del pre-covid) parte uno dei macchinari sonori di Ludwig Göransson, concessionario svedese di colonne sonore Marvel (e produttore di This is America di Childish Gambino): un contorcimento di budella autotune su cui il rapper texano Travis Scott butta giù due barre di energia spaesata come noi: “Last time I live reverse” (ben altro reverse era quello di Missy Elliott in Work it).
3. Qualunque, Verdeacqua
Definito sulla webzine Loudd “il cantautore lombardo del disagio”, anticipa dall’ep Farmaci un inno della sindrome del rientro (“Non saprai mai quante serie tv che ho guardato per provare a scappare via da qui”) e del riesco (“Non ci vuole rabbia per proteggersi serve solo la banalità / circondarsi di progetti in fondo inutili e prima o poi uno di questi ci svolterà”). Parole e ansia di Luca Milani, su gancio groove con minimi tocchi di electronica ricamato dagli indie-producer Fabio Grande e Pietro Paroletti: ore di psicoterapia rese fruibili per tutti.
Questo articolo è uscito sul numero 1374 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati
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