1. Libera Velo, Cricche
Rocksteady in Pignasecca, da una ecotransfemminista napoletana che sguinzaglia una voce duttile appresso a ritmi giamaicani, magagne quotidiane, attivismi, antagonismi e poesia. Nell’album ’A sguarrona (che dice equivalere a similitudine equina: “donna che monta a cavallo da maschio”, mah? strano che se ne sia appropriato) abbina dialetto dei vicoli e un piglio istrionico. Anche grazie all’impalcatura musicale: nell’Auditorium Novecento con Luigi Scialdone, a dar corpo alla convivenza di mandolini e ritmi in levare.
2. Superpop, Monaco
Due maschietti di koala italodisco si aggirano per gli ultimi nightclub brandendo bollicine e riprendendo le produzioni musicali primi anni ottanta, sature di bassi e di synth, la cassa che passa il suo four-to-the-floor, la vocina suadente sex & champagne, le memorie di Pino D’Angiò, la vita sognata di Montecarlo, il lavorìo notturno tipo Giorgio Moroder a Monaco di Baviera, culla della disco europea. Attenti a quei due: Alberto Bazzoli e Gianni D’Amato; il tastierista e il pensatore, uno tutto in Gucci, l’altro con il doppiopetto su misura.
3. Lous and the Yakuza, Messes basses
Sussurri, doppigiochi, maldicenze: però “les mas-ques finiront par tomber”. Anche sotto le mascherine si apprezza il volto cangiante della cantante congolese naturalizzata belga, che pur già sfilata ovunque (dalla finale di X Factor a Fabio Fazio) debutta ora sulla distanza dell’album con Gore. Insieme a uno dei producer più efficacemente tamarri del momento (El Guincho, artefice del flamenco poligonero di Isabel), su latitudini ritmiche tra Africa e mondo ispanico, coltivando l’arte dei deep cuts, pezzi non-hit che creano seguito. Come qui.
Questo articolo è uscito sul numero 1381 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati
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