1. Vianney,N’attendons pas
Un giovane Sheeran francofono, con chitarra acustica a tracolla su un lieve ritmo rnb, molto orecchiabile fa: “N’attendons pas de vivre”. E nel video c’è pure un ballerino con la tuta arancione fluo, che crea una continuità con il lavoratore di uno spot Amazon spuntato su YouTube, in cui un lavoratore modello dice di sentirsi come in una grande famiglia, di riuscire a sostenere anche i genitori un pacco alla volta, e balla anche la break dance nelle pause tra un pacco e l’altro. Tutto quel che è motivazionale e orecchiabile sa vagamente di fregatura.
2. Greta Maria, Kannast við þennan kafla
“Familiarità con questo capitolo”? È il momento di voltare pagina? È musica misteriosa, malinconica, nordica, con un ritmo di notte, un piano elettrico che si affaccia sul buio, un presagio registrato in camera da letto. Insomma, un sogno scodellato da Spotify, di quelli che ti colpiscono a tradimento, quando fai fatica. Una cantante islandese di stanza a Berlino, debuttante indecifrabile, e abbastanza ipnotica per tutta una stagione di nebbie. Intanto stanno tornando anche i Sigur Rós; non c’è nulla come questi islandesi per sentirsi familiari con il Valhalla.
3. John Fogerty,Fortunate son
Nonno, suoniamo quella canzone dei tempi del Vietnam? Se il nonno era il leader dei Creedence Clearwater Revival e la canzone uno dei migliori pezzi rock di sempre, il concertino in famiglia ha un senso al di là dei trastulli da quarantenati. Il venerabile cantante/chitarrista live con i congiunti è diventato un format multimediale: concerti Tiny Desk, ospitate da Colbert in tv, e a breve un album (Fogerty’s factory) fatto in famiglia con pezzi come Have you ever seen the rain, alla faccia degli anziani non indispensabili allo sforzo produttivo.
Questo articolo è uscito sul numero 1383 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati
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