Con la morte di Donald Sutherland, avvenuta a Miami il 17 giugno 2024, se ne va un altro grande interprete di una generazione che, tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta, contribuì non poco ad allargare i confini di Hollywood. È la generazione di Gene Hackman e Robert Duvall, di Clint Eastwood ed Elliot Gould, ma anche di Robert Redford e Dustin Hoffman.
Sutherland è arrivato al successo con grandi registi di quella Hollywood: Robert Aldrich, Robert Altman, Alan J. Pakula. E poi ancora John Schlesinger, John Landis, Oliver Stone. In più, Sutherland ha sempre coltivato un rapporto privilegiato con il cinema europeo lavorando con grandi registi come Federico Fellini, Bernardo Bertolucci e Claude Chabrol.
Ha affrontato tutti i generi e soprattutto era capace di essere convincente in tutti i ruoli, di dare infinite sfumature ai suoi personaggi: ironico, irriverente, amorevole, cattivo (anzi cattivissimo), folle, minaccioso. Una versatilità che lo rendeva inadatto e allo stesso tempo perfetto per ogni ruolo.
La sua presenza nel cast di un film, anche in una parte minore, è stata sempre rassicurante, e spesso ha messo d’accordo generazioni diverse. È stato un grande attore, anche se non ha mai ricevuto una nomination agli Oscar (ne ha avuto uno, onorario, nel 2017).
Difficile scegliere cinque film, ma ho i miei preferiti (e purtroppo no, non c’è Casanova di Fellini).
In M*A*S*H* di Robert Altman (1970), Sutherland interpreta Hawkeye Pierce, un chirurgo richiamato dall’esercito e spedito in un ospedale da campo durante la guerra di Corea. Questa “commedia di guerra” è un capolavoro e Sutherland ha un ruolo centrale, in qualche modo tutto gira intorno a lui. Sul set lui ed Elliott Gould si misero in rotta di collisione con Altman, ma forse perché a loro mancava la visione d’insieme. Dopo il successo planetario del film (compresa la vittoria a Cannes), Gould si scusò con il regista. Sutherland no e non lavorarono più insieme.
A proposito di versatilità, all’opposto dell’irresistibile Hawkeye, c’è Attila Melanchini, il terribile fattore che sale sul carro del fascismo in Novecento di Bernardo Bertolucci (1976). Insieme alla moglie Regina, interpretata da Laura Betti, Sutherland incarna gli aspetti più violenti, sadici, perversi e vigliacchi del regime.
La scena finale di Terrore dallo spazio profondo di Philip Kaufman (1978), remake del classico di fantascienza di Don Siegel L’invasione degli ultracorpi (1956), è una delle più riconoscibili e rappresentative nella carriera di Donald Sutherland. Una volta vista, non la si dimentica più.
Nel drammone psicologico Gente comune di Robert Redford (1980), Sutherland finalmente interpreta un padre amorevole e positivo che cerca disperatamente di tenere insieme la sua famiglia. E, quando serve, ha il coraggio di non preoccuparsi di cosa potranno pensare i vicini. In pratica, un eroe borghese.
Come dev’essere un miliardario moderno? Seduttivo, avido, simpatico, manipolatore, perfido, ipocrita, magnanimo. Proprio come Bob Garvin, interpretato da Sutherland in Rivelazioni di Barry Levinson (1994).
Menzioni speciali: Le cinque chiavi del terrore (1965), Quella sporca dozzina (1967), Una squillo per l’ispettore Klute (1971), Il giorno della locusta (1975), Rosso nel buio (1978), Animal house (1978), 1855. La prima grande rapina al treno (1978), Jfk (1991).
Questo testo è tratto dalla newsletter Schermi.
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