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Cosa spinge Macron a seguire Trump

Emmanuel Macron, Parigi, il 26 marzo 2018. (Yoan Valat, Reuters/Contrasto)

Quasi un anno fa la vittoria in Francia di Emmanuel Macron era stata accolta come una battuta d’arresto per l’ondata populista che, dalla Brexit all’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, appariva come inesorabile. Un anno dopo il presidente francese è il miglior alleato di Donald Trump nella crisi siriana e si è schierato al fianco del Regno Unito nello scandalo delle spie scoppiato con Mosca.

Queste prese di posizione dimostrano le difficoltà per una potenza di medie dimensioni come la Francia di avere una politica estera indipendente, come probabilmente avrebbe desiderato Emmanuel Macron. Un anno dopo cosa resta di quest’ambizione?

Durante la sua campagna, e fin dai suoi primi passi sulla scena internazionale, Emmanuel Macron ha rivendicato la sua impostazione gollista-mitterandiana, quella base della diplomazia francese indipendente che si oppone al neoconservatorismo incarnato dalla presidenza di Nicolas Sarkozy (2007-2012) e seguita senza grande immaginazione dal suo successore François Hollande (2012-2017).

Cosa condivide con Trump?
Il candidato Macron si era fatto notare in particolare per la sua condanna alle missioni militari, quella degli statunitensi in Iran nel 2003, ma anche quella avviata dalla Francia di Sarkozy in Libia nel 2011.

Tuttavia, questo approccio non gli impedisce, oggi, di essere impegnato, al fianco di Donald Trump, per intervenire nel conflitto siriano dopo l’attacco chimico di Duma. Trump e Macron parlano, si coordinano tutti i giorni. Infine tutti gli altri protagonisti si posizionano in funzione di questa intesa inaspettata, a partire dal Regno Unito, la cui relazione speciale con gli Stati Uniti si è interrotta con l’arrivo del nuovo inquilino della Casa Bianca.

Ma qual è il punto di convergenza tra Donald Trump ed Emmanuel Macron? Volersi differenziare a tutti i costi dai loro rispettivi predecessori, Barack Obama in un caso e François Hollande nell’altro, i quali non sono intervenuti nel 2013, durante il primo attacco chimico attribuito al regime di Bashar al Assad. Donald Trump vuole dimostrare di essere un duro, come dicono i suoi continui tweet, quello sul “bottone rosso” più potente di quello di Kim Jong-un di qualche mese fa, oppure l’ultimo relativo ai missili di nuovissima fabbricazione che promette alla Siria.

La vicinanza dell’Eliseo alla Casa Bianca nel caso della Siria comporta un rischio

Emmanuel Macron è altrettanto desideroso di mostrare la sua credibilità sul piano dell’azione militare. Vuole essere, più di tutto, quello che rispetta le sue “linee rosse” dopo averle enunciate, in Siria come in Francia. Così facendo, il presidente mescola le carte rispetto alle promesse fatte in campagna elettorale e dà soprattutto la sensazione di accettare di giocare un ruolo di secondo piano in scenari che gli sfuggono.

Che si tratti del braccio di ferro con Mosca a proposito dell’attentato contro l’agente russo Sergej Skripal nel Regno Unito o della risposta al regime di Bashar al Assad a proposito delle armi chimiche, Parigi non chiarisce le sue regole d’ingaggio.

La vicinanza dell’Eliseo alla Casa Bianca nel caso della Siria comporta un rischio non trascurabile: quello dell’imprevedibilità di Trump, un dato imprescindibile di cui Emmanuel Macron non può ignorare la realtà e i rischi. Che succederà il day after, il giorno successivo al bombardamento degli obiettivi siriani, è la domanda cruciale alla quale nessuno riesce veramente a rispondere.

Il nodo dell’Iran
Il presidente francese dà tanto più l’impressione di un cambiamento se si pensa che si è appena mostrato in pubblico con il principe dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman, con il quale invece aveva finora tenuto una relativa distanza. Bin Salman e Trump sono uniti contro il loro nemico comune, l’Iran, che non è però necessariamente un avversario della Francia.

Parigi corre il rischio, per essere coerente sulla Siria, di prendere parte a un’alleanza della quale Macron diffida come della peste: all’inizio di gennaio il presidente francese diceva chiaramente che gli Stati Uniti, Israele e l’Arabia Saudita sostenevano “posizioni che ci avrebbero portato alla guerra in Iran”.

La diplomazia francese si muove quindi su un terreno molto delicato, che la porta a fare oggi un pezzo di strada con alleati di cui ieri denunciava i pericoli, e dai quali potrebbe nuovamente prendere le distanze a maggio, qualora Emmanuel Macron non riuscisse a convincere Donald Trump a rinnovare la fiducia nell’accordo nucleare con l’Iran. Il prossimo 12 maggio infatti il presidente statunitense e i suoi nuovi consiglieri John Bolton e Mike Pompeo, falchi molto ostili all’Iran, dovranno decidere se dare il colpo di grazia all’accordo con Teheran.

Macron è riuscito a far nuovamente sentire la voce della Francia. Ma dopo un anno questo non basta più

In quest’ambiguità che rende meno leggibile la politica estera di Macron, l’Europa rimane il grande punto interrogativo. La congiunzione storica in Europa, che appariva ideale un anno fa, in occasione dell’elezione di Emmanuel Macron, è oggi stranamente più complessa: le elezioni tedesche e i sei mesi necessari ad Angela Merkel per mettere insieme una maggioranza e un governo non erano stati previsti, così come la grande incertezza che avvolge un altro grande paese europeo come l’Italia.

Aggiungete a questo scenario il successo dell’euroscettico Viktor Orbán, il primo avversario della visione francese, alle urne ungheresi l’8 aprile, e vedrete che il cantiere aperto è molto più complesso del previsto.

Il presidente francese avrà l’occasione di spiegarsi, di riaffermare le sue ambizioni e soprattutto avrà i mezzi di realizzarle, durante il suo intervento sull’Europa previsto il 17 aprile di fronte al parlamento europeo a Strasburgo. Ma già da ora il primo passo del grande progetto europeo, le convention democratiche che dovevano avviare il dibattito, sono un non evento che smorza le ambizioni dell’Eliseo, in un clima internazionale di forti tensioni.

Macron è riuscito, dopo la sua elezione, a far nuovamente sentire la voce della Francia sulla scena internazionale e a restituirle credito, approfittando in particolare della contemporanea eclissi britannica e tedesca, della confusione disfunzionale a Washington e della crescita delle minacce nel mondo.

Ma dopo un anno tutto questo non basta più a dare un senso alla sua azione. La cosa più difficile ora è passare da un punto di vista francese a un punto di vista europeo, come sarebbe invece nelle ambizioni del presidente francese. Come sottolinea, a proposito degli ultimi eventi in Medio Oriente, il centro studi Consiglio europeo delle relazioni internazionali (Ecfr), “la Francia si trova costantemente in una posizione di solitudine in una delle regioni più turbolente al mondo”. Anche in questo caso Emmanuel Macron deve dimostrare capacità pedagogiche, di adattamento e, soprattutto, un po’ di umiltà di fronte alla realtà.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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