Le elezioni in Brasile del 7 ottobre si avvicinano in un clima deleterio con un candidato di estrema destra, razzista, sessista e omofobo in testa ai sondaggi. È difficile ricordarsene, eppure il Brasile, pochi anni fa, era ancora una grande speranza, non soltanto dell’America Latina ma di tutto il mondo emergente.
All’inizio del 2009 è apparso l’acronimo Bric – Brasile, India e Cina – per indicare le economie emergenti in rapida crescita, a cui si è aggiunto in un secondo momento il Sudafrica per formare i Brics. Ironia vuole che sia stato un economista della banca Goldman Sachs a coniare la sigla, diventata poi quella del club ufficiale delle potenze del nuovo mondo.
Tra un’India democratica ma ancora poco performante e una Cina autocratica o ancora una Russia inquietante uscita dalle macerie dell’Urss, il Brasile era dotato di tutte le virtù. Le stesse virtù che sembrava incarnare Lula, l’ex sindacalista diventato presidente, capace di strappare milioni di famiglie alla povertà e farle entrare nella classe media, di essere rispettato dagli americani e dai cinesi e di lanciare il Brasile sul palcoscenico mondiale.
I campionati del mondo 2014 e le Olimpiadi del 2016 avrebbero dovuto segnare il trionfo del Brasile emergente. E invece hanno caratterizzato un periodo di reflusso economico – con una riduzione della crescita del 7 per cento in due anni – crisi sociale con lo sgretolamento della classe media e grande incertezza democratica.
La purezza iniziale di Lula e dei suoi amici non ha resistito all’ondata delle rivelazioni
Lula, grande speranza del decennio precedente, oggi è in prigione per scontare una pena a 12 anni per una faccenda di corruzione, che parte del Brasile pensa sia soltanto una montatura per emarginarlo. Dilma Rousseff, ex militante di sinistra torturata durante la dittatura che ha preso il posto di Lula alla presidenza, è stata destituita nel 2016 per aver truccato i conti pubblici e sostituta da Michel Temer, un uomo di destra oggi arrivato alla fine del suo mandato e anch’egli travolto dai sospetti.
Questa delusione democratica è stata accompagnata da un sentimento di scoramento davanti al lava jato, il “lavaggio espresso”, come chiamano in Brasile la grande inchiesta sugli scandali politico-finanziari come la vicenda Petrobras, la compagnia petrolifera al centro di un’enorme rete di bustarelle. La purezza iniziale di Lula e dei suoi amici non ha resistito all’ondata delle rivelazioni.
Oggi Jair Bolsonaro, candidato di estrema destra incline alla nostalgia per i vent’anni della dittatura militare, cavalca questa sfiducia democratica e l’insicurezza crescente.
Bolsonaro rischia di ritrovarsi in testa alla fine del primo turno, davanti a Fernando Haddad, candidato del Partito dei lavoratori, controfigura di Lula a cui è stato impedito di candidarsi. La borsa brasiliana ha scelto da che parte stare, impennandosi alla notizia del vantaggio nei sondaggi di Bolsonaro, che ha scelto come consulente economico un paladino del liberismo.
Evidentemente la B di Brics non se la passa bene, ed è una pessima notizia per l’America Latina e per il mondo intero.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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