L’ipocrisia delle multinazionali con il regno saudita
Tra le conseguenze improbabili dell’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, ucciso da alcuni agenti segreti del suo paese, c’è la rapida diserzione del mondo degli affari e della finanza internazionale. Una reazione imprevista, perché è raro vedere gli amministratori delegati delle multinazionali trasformarsi in difensori dei diritti umani.
Eppure, uno dopo l’altro, i grandi imprenditori statunitensi e poi i manager dei grandi istituti finanziari, tra cui il presidente della Banca mondiale e la direttrice del Fondo monetario internazionale, hanno annunciato che non parteciperanno al “Davos del deserto”, il grande vertice economico previsto per il 23 ottobre in Arabia Saudita, a cui parteciperà il gotha della finanza mondiale.
Nel 2017, in occasione della prima edizione del vertice, tutti pendevano dalle labbra del principe ereditario Mohammed bin Salman, presentato come un grande modernizzatore che avrebbe fatto fare un “balzo in avanti” al regno wahabita.
Il giovane principe aveva presentato il suo progetto per la costruzione di una città utopica chiamata Neom, un investimento da 500 miliardi di dollari nelle tecnologie del futuro, un ambiente pulito e una società moderna. Un’esca irresistibile per gli imprenditori a caccia di contratti.
Un anno dopo, si parla solo della vicenda Khashoggi e dei suoi macabri dettagli, con il cadavere smembrato a colpi di sega dentro il consolato saudita e la musica a tutto volume per coprire il rumore sgradevole.
C’è molta ipocrisia nella decisione delle multinazionali di annullare la loro presenza a un vertice in Arabia Saudita.
Le multinazionali hanno capito prima dei governi la portata dei danni che saranno provocati dall’omicidio di un giornalista in circostanze simili, a cominciare dalle aziende che avevano steso un tappeto rosso davanti a Mohammed bin Salman solo pochi mesi fa. Le grandi aziende cercano di scongiurare ogni critica evitando qualsiasi possibilità che sia pubblicata una foto dei loro amministratori delegati con il principe, diventato ormai infrequentabile.
L’amministratore delegato del gigante dei trasporti Uber è stato uno dei primi ad annunciare la sua defezione, tanto più sorprendente se consideriamo che aveva accettato un investimento saudita da tre miliardi di dollari. Lo stesso aveva fatto Google, annunciando all’inizio dell’anno grandi investimenti nel paese.
In queste decisioni c’è molta ipocrisia. Di sicuro l’omicidio di Khashoggi è disgustoso, ma resta il fatto che queste aziende non hanno esitato a chiudere un occhio su altre situazioni altrettanto insopportabili anche se di minor richiamo, come la guerra condotta dallo stesso principe ereditario in Yemen e costata enormi sofferenze alla popolazione civile.
A questo punto una domanda sorge spontanea: in quali circostanze una multinazionale può o deve immischiarsi nella politica? Google boicotta il “Davos nel deserto”, ma nel frattempo prepara in segreto una versione censurata del suo motore di ricerca per il mercato cinese.
Da notare che al momento nessuna azienda francese invitata all’incontro ha annunciato che non parteciperà. Sono meno ipocrite o solo più ciniche?
L’unica morale di questa favola è che in fondo non c’è traccia di una morale. Semplicemente, l’omicidio di Jamal Khashoggi è diventato un affare troppo delicato per essere ignorato, anche dai potenti del mondo.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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