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In Tunisia cresce l’esasperazione 

Scontri durante le proteste a Kasserine, Tunisia, 25 dicembre 2018. (Amine Ben Aziza, Reuters/Contrasto)

Sono trascorsi otto anni tra il gesto disperato di Mohamed Bouazizi e quello di Abderrazak Zorgui, e nel suicidio tra le fiamme di questi due uomini ritroviamo lo stesso malessere sociale che la rivoluzione tunisina del 2011 non è riuscita a placare.

Bouazizi era un venditore ambulante di 27 anni e si è immolato il 17 dicembre a Sidi Bouzid, dando il via alla rivoluzione che ha portato all’allontanamento del dittatore Ben Ali. Zorgui era un giornalista indipendente di 32 anni e si è immolato il 24 dicembre a Kasserine, a 270 chilometri da Tunisi, dopo aver girato un video in cui esprime la speranza che il suo gesto possa spingere lo stato a occuparsi della sua città. “Aspettiamo da otto anni”, accusa nel filmato.

Dal 24 dicembre si ripetono scontri tra forze dell’ordine e manifestanti a Kasserine e in altre località. Non si tratta di una mobilitazione paragonabile a quella del 2010, quando sempre a Kasserine un video girato nei corridoi dell’ospedale cittadino aveva segnato una svolta mostrando la portata della repressione, né all’ondata di proteste sociali del 2016, partite ancora una volta da Kasserine.

Conquiste insufficienti
La Tunisia è l’unico paese arabo dove la rivoluzione del 2011 ha avuto successo, laddove l’Egitto è sprofondato nuovamente in un regime autoritario mentre in Libia, in Siria e in Yemen sono in corso delle guerre. Eppure, in Tunisia, le libertà conquistate non sono evidentemente sufficienti.

La rivoluzione tunisina, che festeggerà il suo ottavo anniversario il prossimo 14 gennaio, ha certamente prodotto importanti risultati politici e sociali, a cominciare dalla costituzione più moderna del mondo arabo, una maggiore parità per le donne e un pluralismo politico.

I tunisini accusano la classe politica di essere rimasta arroccata nell’elitarismo

Ma non ha prodotto la trasformazione economica e sociale sperata. In questo senso non bisogna dimenticare che la scintilla della rivoluzione è stata l’esasperazione sociale delle regioni dell’interno, come Sidi Bouzid o Kasserine.
Sul piano sociale, la frustrazione resta immensa, con una disoccupazione che ha raggiunto il 25 per cento tra i giovani, anche tra i laureati.

I tunisini accusano la classe politica di essere rimasta arroccata in un elitarismo indifferente ai problemi delle regioni più svantaggiate. Il governo non è riuscito a superare un modello economico che si affida alle esportazioni e al turismo, due attività prettamente costiere.

L’assenza dell’Europa
A intervalli regolari, il malcontento sociale ricorda ai governanti che sotto la cenere il fuoco è ancora acceso. Ma a Tunisi sembrano molto più preoccupati dai giochi di potere tra il vecchio presidente e il suo giovane primo ministro, con il capo degli islamisti di Ennahdha (Movimento della rinascita) nel ruolo di elemento decisivo.

I leader tunisini hanno evidentemente grandi responsabilità per questa impasse sociale, ma lo stesso vale per l’Europa, che non ha aiutato la Tunisia in modo proporzionato all’importanza di quest’ultima rivoluzione democratica ancora in vita, il cui fallimento avrebbe conseguenze drammatiche per i tunisini ma anche per l’intera area del Mediterraneo, da sud a nord.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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