In Mali la battaglia contro i jihadisti non può essere solo militare
La mattina del 23 marzo, nel villaggio di Amassagou, nel Mali centrale, sono state massacrate 134 persone. Uomini, donne e bambini. Sulla scia di questa notizia sconvolgente, il 24 marzo il governo ha licenziato diversi alti ufficiali e sciolto una milizia.
Il massacro, in un paese dove l’esercito francese è intervenuto dal 2012 per combattere i jihadisti, dimostra fino a che punto la risposta alle minacce rappresentate da questi gruppi armati non può essere esclusivamente militare.
Come sappiamo bene, è questo il caso dell’Iraq e della Siria, dove il gruppo Stato islamico ha appena perso la sua ultima roccaforte ma dove c’è ancora molto da fare sul piano politico e umano. È anche il caso del Mali, dove i successi militari dei francesi e dei loro alleati nascondono male il fallimento del progetto di creazione di uno stato funzionale.
Le vittime del 23 marzo sono peul, un popolo di allevatori che vive nell’Africa occidentale. I peul sono il bersaglio preferito del predicatore-reclutatore jihadista Amadou Koufa, apparso nella regione quattro anni fa e più o meno legato alla nebulosa di Al Qaeda, responsabile di una lunga serie di violenze e di centinaia di morti.
Questa situazione è valsa agli allevatori peul l’ostilità dei loro vicini, i dogon, coltivatori che si sono organizzati formando una milizia. Il villaggio dei peul è stato attaccato da un centinaio di uomini in sella a motociclette e armati di kalashnikov e granate. Il giorno dopo la milizia dei dogon è stata sciolta dal governo di Bamako.
Questa tragedia evidenza quanto lo stato maliano sia assente nel centro del paese, teatro di violenze da anni e abbandonato a se stesso. A novembre la Federazione internazionale per i diritti umani e il suo ramo maliano avevano dato l’allarme, sottolineando che “l’escalation di violenze nel Mali centrale sta per diventare incontrollabile”. Il rapporto denunciava atrocità di massa compiute esclusivamente sulla base dell’appartenenza etnica.
Questa debolezza dello stato ha fatto nascere milizie locali che hanno trovato facilmente grandi quantità di armi, peggiorando la situazione.
Il ritorno del jihad
La Francia è intervenuta in Mali nel 2012, quando il nord del paese era nelle mani dei jihadisti. L’esercito francese ha riconquistato il nord e ha organizzato una vasta operazione militare per aiutare il Mali a ricostruire il suo esercito e la sua amministrazione.
Ma nonostante la risposta militare si sia dimostrata efficace, la modernizzazione dello stato si è rivelata un fallimento e ha creato una situazione in cui i conflitti tradizionali hanno assunto la forma del jihad o piuttosto hanno provocato un ritorno del jihad, perché non bisogna dimenticare che tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, in Africa occidentale, la guerra nel nome del Corano era l’espressione di grandi movimenti politici e della resistenza alla colonizzazione.
Anche se di solito si parla esclusivamente della dimensione militare della lotta contro i jihadisti, il Mali dimostra la complessità, la specificità locale e l’interazione tra questa battaglia e le problematiche economiche e sociali di lungo corso che non sono mai state affrontate. Il Mali deve assolutamente affrontare questa sfida, che finora ha chiaramente perduto.
(Traduzione di Andrea Sparacino)