Nonostante il carattere imprevedibile del personaggio, Donald Trump ha alcune ossessioni precise, tra cui l’Iran. Il presidente degli Stati Uniti ha decretato che tra otto giorni nemmeno una goccia di petrolio potrà più lasciare il territorio iraniano, pena pesanti sanzioni contro il paese importatore.

È l’ultima manifestazione dell’unilateralismo con cui Washington impone la sua legge al resto del mondo, in questo caso sulla vicenda iraniana in cui gli Stati Uniti agiscono senza consultare nessuno dopo essersi ritirati dall’accordo sul nucleare quasi un anno fa. Totalmente inammissibile sulla base del diritto internazionale, la decisione di Trump si basa soltanto sulla potenza degli Stati Uniti e sulla loro capacità di punire gli altri paesi a loro piacimento.

L’embargo petrolifero era già stato imposto a novembre, ma Washington aveva concesso una deroga ad alcuni paesi. Il 2 maggio finiranno anche queste waivers, le esenzioni, e i cinque paesi coinvolti dovranno decidere se obbedire a Trump o scegliere la via dello scontro.

Washington vuole semplicemente provocare la caduta del regime iraniano

Questi cinque paesi sono Cina, Turchia, India, Corea del Sud e Giappone. La Cina mantiene rapporti molto delicati con Washington, mentre la Turchia, nonostante faccia parte della Nato, ha già fatto sapere che non intende piegarsi. Resta da capire se questo atteggiamento di sfida reggerà alle pressioni della Casa Bianca.

Ufficialmente gli Stati Uniti vorrebbero costringere l’Iran a negoziare un migliore accordo sul nucleare che preveda limiti alle capacità balistiche e all’attivismo di Teheran nella regione.

Nella realtà dei fatti, però, Washington vuole semplicemente provocare la caduta del regime iraniano. I falchi dell’amministrazione Trump sono convinti che il regime dei mullah sia estremamente impopolare, come dimostrerebbero le rivolte sociali degli ultimi mesi. In quest’ottica vorrebbero peggiorare la situazione privando Teheran della sua principale risorsa finanziaria.

Come se non bastasse, l’Iran deve affrontare una serie di inondazioni catastrofiche. Non soltanto l’amministrazione Trump, diversamente dall’Europa e dalla Francia, si rifiuta di fornire il minimo aiuto umanitario, ma si prepara a stringere la morsa proprio mentre il paese attraversa un momento di difficoltà.

A proposito dell’Iran l’amministrazione statunitense non si divide tra falchi e colombe, ma piuttosto tra falchi e super falchi. Difendendo le sanzioni, il segretario di stato Mike Pompeo ha dichiarato che gli Stati Uniti non vogliono fare la guerra all’Iran (nonostante questo sia il sogno dell’altro uomo di Washington che si occupa dell’Iran, il consulente per la sicurezza nazionale John Bolton).

La Casa Bianca ha deciso di allinearsi all’asse formato da Israele e Arabia Saudita, due paesi decisi, ognuno per le proprie ragioni, a far cadere il regime iraniano.

La questione iraniana è diventata anche un argomento di scontro nella politica interna degli Stati Uniti, perché diversi esponenti democratici di primo piano hanno dichiarato che in caso di vittoria alle prossime presidenziali rifirmerebbero l’accordo sul nucleare che nel frattempo l’Europa e l’Iran stanno tentando faticosamente di mantenere in vita.

Nell’attesa Donald Trump continua ad andare avanti, da solo contro buona parte del resto del mondo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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