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Il bombardamento dei migranti in Libia è un crimine di guerra

Le macerie del centro di detenzione di migranti di Tajoura, Libia, il 3 luglio 2019. (Hazem Ahmed, Ap/Ansa)

Sono i dannati della terra, vittime che nessuno protegge e nessuno difende. Le decine di migranti morti a causa del bombardamento aereo che alle prime ore di mercoledì 3 luglio ha colpito il centro di detenzione di migranti di Tajura, a est di Tripoli, sono al centro di una tragedia di cui nessuno vuole assumersi le responsabilità. Fanno parte delle decine, forse centinaia di migliaia di migranti partiti dall’Africa e da altre regioni del mondo, bloccati in Libia e abbandonati alle conseguenze di una guerra civile nuovamente divampata.

La costernazione e la collera dominano le Nazioni Unite, i cui sforzi di mediazione e protezione dei civili sbattono contro un muro d’indifferenza e cinismo.

Il rappresentante speciale dell’Onu per il conflitto libico, Ghassan Salamé, ha usato toni molto forti parlando di “crimine di guerra” contro “innocenti” che erano rinchiusi contro la loro volontà nella struttura. L’emissario delle Nazioni Unite ha chiesto una punizione per chi ha ordinato il raid e per chi ha armato i protagonisti di quella che ha definito una “chiara violazione delle leggi umanitarie basilari”.

Salamé non ha nominato esplicitamente i responsabili di questo massacro, ma il Consiglio di sicurezza dell’Onu si riunirà tra pochi giorni e si spera che in quell’occasione i colpevoli siano additati chiaramente.

Il vecchio continente ha mostrato alla Libia tutta la sua debolezza, le sue rivalità e la sua impotenza

Il primo sospettato è ovviamente il generale Khalifa Haftar, capo di una delle fazioni libiche e appoggiato da Arabia Saudita, Emirati Arabi ed Egitto. All’inizio di aprile Haftar ha scatenato un’offensiva per conquistare la capitale Tripoli, ma continua a negare ogni responsabilità nonostante abbia minacciato, pochi giorni fa, di ricorrere ai bombardamenti aerei in mancanza di progressi sul campo.

Ripresa in primavera, la guerra civile libica si è stranamente internazionalizzata con il coinvolgimento delle potenze del Golfo, dell’Egitto, della Turchia e del Qatar, tutti impegnati a violare impunemente l’embargo sulla vendita di armi ai belligeranti. Questi paesi hanno la loro parte di responsabilità, ma lo stesso vale per i governi che dall’esterno, attivamente o passivamente, lasciano fare.

L’Europa ha una grande responsabilità politica in questa vicenda. Anche senza rievocare la deposizione di Gheddafi nel 2011, il vecchio continente ha mostrato alla Libia tutta la sua debolezza, le sue rivalità e la sua impotenza. Francia e Italia, in particolare, non hanno saputo lavorare insieme per sostenere gli sforzi di mediazione.

Ma soprattutto l’Europa ha scelto di subappaltare a una Libia senza stato e senza stabilità la gestione di un problema migratorio diventato un tabù politico. Ostacolando le navi umanitarie e spingendo i migranti in difficoltà tra le braccia della guardia costiera libica, l’Europa ha coscientemente condannato questi uomini, donne e bambini al carcere quando non alla morte, come ci ricorda l’ultimo bombardamento.

Un recente rapporto di un think-tank internazionale parlava di “vuoto cosmico”della politica europea rispetto alla Libia. Speriamo che la tragedia di mercoledì possa risvegliare la coscienza dell’Europa.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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