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La democrazia tunisina alla prova delle presidenziali

Durante il corteo funebre per il presidente Beji Caid Essebsi a Tunisi, il 27 luglio 2019. (Chedly Ben Ibrahim, NurPhoto/Getty Images)

Il 24 luglio, sulla terrazza di un ristorante di La Goulette, parlavo con alcuni amici di tutti gli scenari catastrofici possibili in caso di morte del presidente Beji Caid Essebsi. Il giorno successivo è arrivata la notizia del decesso del capo di stato tunisino, a 92 anni… e la temuta catastrofe non c’è stata.

La transizione è avvenuta all’interno delle regole costituzionali, come in tutte le democrazie funzionali. Ancora una volta, la Tunisia ha dimostrato che non sempre le previsioni peggiori si avverano.

La scomparsa del primo presidente eletto secondo la costituzione del dopo Ben Ali rappresenta comunque un banco di prova importante per la giovane e imperfetta democrazia tunisina.

Un laboratorio importante
Possiamo discutere all’infinito (e i tunisini non si astengono dal farlo) dei successi e delle difficoltà della transizione partita nel 2011 nel solco delle primavere arabe. I tunisini detestano essere paragonati agli altri paesi arabi che hanno seguito il loro esempio nel 2011 (fallendo); ma come possiamo non tenere conto di questo problematico contesto regionale analizzando il “laboratorio” tunisino?

In questa successione secondo le regole, ci sono due appuntamenti cruciali per i tunisini: un voto presidenziale previsto in settembre e uno legislativo in programma il mese successivo. Il calendario iniziale è stato invertito dopo la morte di Essebsi, un cambiamento non trascurabile per le strategie dei partiti. La scelta può essere riassunta in modo lapidario: stop o via libera alla classe politica emersa dopo l’uscita di scena di Ben Ali?

Alle prossime elezioni i tunisini potrebbero avere l’occasione di dire stop a questa classe politica svalutata

I tunisini hanno la sensazione che sia stata raggiunta una fase di stallo nella politica del consenso, incarnata dal presidente scomparso e che ha avuto il doppio merito di permettere al paese di superare una fase pericolosa nel 2013 e di coinvolgere gli islamisti di Ennahda nello scacchiere politico (contrariamente a quanto accaduto altrove) ma anche la colpa di aver trascinato la paralisi del sistema, portando avanti giochi politici deleteri che hanno contribuito a screditare i politici agli occhi dei tunisini, ancora in attesa di ricadute economiche e sociali.

Alle prossime elezioni i tunisini potrebbero avere l’occasione di dire stop a questa classe politica svalutata. Tutto dipenderà da un emendamento elettorale votato dal parlamento uscente ma che il presidente Caid Essebsi si era rifiutato di firmare. Il capo di stato ad interim ed ex presidente del parlamento Mohamed Ennaceur continuerà a opporsi all’emendamento? Oppure firmerà rischiando di falsare il meccanismo democratico alla vigilia del voto?

Lo scopo dell’emendamento è quello di sbarrare la strada ai candidati che, per mancanza di un termine più adatto, potremmo definire “populisti” e in alcuni casi nostalgici del regime di Ben Ali. Sono gli stessi candidati – a cominciare dal padrone della tv privata Nessma, il “Berlusconi tunisino” Nabil Karoui – che sono in testa ai sondaggi.

Il fallimento dell’esperienza tunisina, ancora possibile a causa dell’incapacità della classe politica di produrre risultati, potrebbe assumere forme diverse rispetto all’Egitto o alla Siria. La situazione, evidentemente, preoccupa i partner della Tunisia. Il 27 luglio il presidente francese Emmanuel Macron ha voluto essere presente ai funerali di Caid Essebsi per esprimere la speranza di vedere la Tunisia proseguire sulla sua strada.

Il mondo esterno non sarà esente da responsabilità in questa difficile transizione, ma ormai il destino del paese è quasi interamente nelle mani della sua popolazione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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