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Da Berlino piovono buone intenzioni sulla tregua in Libia

Una foto di gruppo durante la conferenza sulla Libia a Berlino, il 19 gennaio 2020. (Florian Gaertner, Photothek via Getty Images)

Sarebbe bello crederci. Sarebbe bello credere che la dichiarazione comune sulla Libia firmata il 19 gennaio da alcuni tra i leader politici più potenti del mondo sarà rispettata alla lettera.

Certo, la dichiarazione non vincola i due contendenti libici, che non hanno accettato nemmeno di trovarsi nella stessa stanza a Berlino. Ma sarebbe comunque bello credere che il presidente russo Putin, il suo collega turco Erdoğan, l’egiziano Al Sisi, il principe degli Emirati Arabi Uniti Mohammed bin Zayed, il segretario di stato americano Pompeo e il presidente francese Emmanuel Macron siano stati sinceri quando hanno firmato una dichiarazione che all’articolo 6 prevede quanto segue: “Ci impegniamo ad astenerci da qualsiasi ingerenza nel conflitto armato e negli affari interni della Libia, e incoraggiamo tutti gli altri soggetti coinvolti a fare lo stesso”.

Parliamoci chiaro, i motivi per essere diffidenti non mancano. La Libia ha sostituito la Siria come teatro di scontro tra le potenze regionali. Tra i firmatari della dichiarazione, tra l’altro, figurano potenze che già oggi violano apertamente l’embargo delle Nazioni Unite sulla vendita di armi alla Libia, pur avendolo votato. Sono gli stessi che in Siria hanno mostrato di poter usare la forza senza farsi tanti problemi.

Un risultato diplomatico
Eppure la dichiarazione di Berlino non è inutile. Al contrario, potrebbe favorire una tregua dei combattimenti che vanno avanti da mesi attorno alla capitale Tripoli. Tutte le guerre di questo tipo, d’altronde, sono passate per diversi accordi e diversi cessate il fuoco (di durata variabile), prima che la diplomazia finisse per imporre una soluzione politica.

Dunque non è trascurabile il fatto che i firmatari, pur con i loro interessi nascosti, abbiano rinnovato il proprio sostegno al piano delle Nazioni Unite, esposto dal rappresentante Ghassan Salamé. Il fatto che fossero presenti le massime cariche di diversi paesi costituisce un successo diplomatico importante.

Ma il testo presenta anche una grande debolezza: non esiste un controllore e non esistono sanzioni per coloro che non rispetteranno l’accordo. Di conseguenza manca un deterrente che scoraggi le potenze presenti in Libia dal far prevalere il loro schieramento.

Il rispetto dell’accordo dipenderà prima di tutto dai due principali soggetti esterni in Libia, che di recente hanno intensificato la loro presenza: la Turchia a sostegno del governo riconosciuto di Fayez al Sarraj e la Russia al fianco del maresciallo Khalifa Haftar, capo militare dell’est che vorrebbe imporsi con la forza e assedia Tripoli.

Ankara ha inviato soldati e anche miliziani islamisti siriani per difendere Tripoli, mentre centinaia di mercenari russi pagati da un’azienda privata combattono per Haftar. Se questi effettivi se ne andassero dal paese sarebbe un primo passo per dare credibilità all’accordo, ma uno sviluppo del genere non sembra vicino.

L’altra protagonista, su cui sono riposte molte speranze, è l’Europa. Per la prima volta, attraverso la diplomazia tedesca, il vecchio continente ha assunto l’iniziativa, dopo anni di divisioni interne. È un evento troppo raro per non essere sottolineato e festeggiato. L’Europa deve riprendere la situazione in mano e spingere per un accordo condiviso. Anche in questo caso, sarebbe bello poterci credere.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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