Un mese fa il segretario generale dell’Onu António Guterres ha lanciato un appello per una “tregua da covid-19” per tutti i conflitti del mondo. In Libia, a quanto pare, il messaggio non è stato recepito, e i cessate il fuoco, come quello appena annunciato in occasione del Ramadan, rappresentano solo una tregua dei combattimenti.
Uno dei due protagonisti, il maresciallo Khalifa Haftar, ha addirittura approfittato della mobilitazione del resto del mondo contro la pandemia per autoproclamarsi capo dell’intera Libia. Haftar sostiene di aver preso atto della “volontà del popolo”, ma la verità è che da tempo i signori della guerra libici non chiedono il parere della popolazione.
Sforzi diplomatici derisi
Il maresciallo ha assestato il colpo di grazia a un tentativo di mediazione delle Nazioni Unite che puntava ad avvicinare i due schieramenti: da un lato quello di Haftar, con base nell’est della Libia, e dall’altro il governo di Tripoli del primo ministro Fayez Al Sarraj. Haftar si prende gioco anche degli sforzi diplomatici degli ultimi mesi, a Mosca e soprattutto a Berlino, dove in presenza di numerosi capi di stato erano stati presi accordi per l’allentamento delle tensioni nel conflitto.
Pur manifestando il proprio sostegno al negoziato, Haftar ha lanciato da un anno un’offensiva militare contro Tripoli. Il maresciallo confidava in una vittoria rapida, ma un anno dopo, nonostante controlli, buona parte del paese ancora non riesce a conquistare la capitale libica.
La Libia tra epidemia e guerra, in un video del New York Times
Autoproclamandosi capo dell’intera Libia, Haftar fa capire ai rivali di Tripoli di puntare a una vittoria totale, mentre fino a gennaio aveva sostenuto che non potevano esserci soluzioni militari. È evidente che nel frattempo ha ricevuto rassicurazioni da parte dei suoi alleati internazionali.
Ognuno dei due schieramenti può contare sul sostegno di governi stranieri che forniscono armi, truppe di rinforzo e la “copertura” politica necessaria.
Guerra per procura
Il maresciallo è sostenuto prima di tutto dagli Emirati Arabi Uniti, direttamente impegnati nei combattimenti con droni armati. Il 29 aprile l’organizzazione Human rights watch ha accusato gli Emirati di “non aver preso alcuna misura per proteggere i civili” durante gli attacchi dei droni.
Ma gli Emirati Arabi Uniti non sono gli unici ad appoggiare Haftar. L’Egitto del maresciallo Al Sisi vede nel capo militare libico una sua copia, un uomo forte e all’antica ostile ai Fratelli musulmani. La Russia ha inviato alcune milizie private al servizio dell’armata dell’est, anche se ha limitato il proprio impegno sul campo. Infine la Francia è stata più volte accusata di sostenere Haftar, pur avendo ribadito di voler appoggiare gli sforzi di mediazione internazionali.
Il governo di Tripoli, dal canto suo, deve la sua salvezza alla Turchia, che ha inviato uomini delle milizie islamiste siriane pagate dal suo governo per difendere la capitale libica.
Questa guerra per procura illustra perfettamente un mondo senza regole, senza un gendarme e senza sicurezza collettiva, che apre la strada alle potenze regionali assetate di influenza. Dopo la Siria, anche la Libia è sprofondata nella guerra perché le grandi potenze hanno privato di qualsiasi prerogativa le Nazioni Unite, restringendone il campo d’azione.
La situazione in Libia, esattamente come il covid-19, evidenzia un mondo frammentato e diviso. Ad approfittarne sono i signori della guerra.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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