La crisi politica e sociale libanese è aggravata dal virus
In alcuni paesi l’arrivo del virus si è aggiunto a crisi politiche e finanziarie profonde, peggiorando una situazione già esplosiva. Il Libano è sicuramente uno di questi, e oggi si trova in un’impasse totale.
Paradossalmente il paese sta superando meglio di altri la pandemia di covid-19, e ha avviato un’apertura progressiva dopo un bilancio meno pesante di quanto si temesse, con appena venticinque morti.
Ma l’epidemia ha assestato il colpo di grazia a un’economia moribonda e in particolare alla moneta nazionale, ormai in caduta libera. La crisi sanitaria ha messo a dura prova una popolazione già molto provata. Oggi metà dei libanesi vive al di sotto della soglia di povertà e non esistono ammortizzatori sociali per sostenere coloro che hanno perso ogni fonte di reddito a causa dell’isolamento.
Superare il confessionalismo
Dall’ottobre 2019 in Libano è attivo un nuovo movimento popolare che ha cercato di oltrepassare le fratture religiose che hanno plasmato il paese. La “thawa”, la “rivoluzione”, vorrebbe cacciare la vecchia classe politica considerata responsabile del fallimento e accusata di essersi spartita la torta nazionale dopo la fine della guerra civile, nel 1990.
Alla fine di ottobre il movimento di protesta ha ottenuto le dimissioni del primo ministro Saad Hariri, sostituito a gennaio (non senza problemi) da Hassane Diabn, un ingegnere approdato alla politica e appoggiato solo da una parte dello scacchiere, soprattutto dai cristiani sostenitori del presidente Michel Aoun e dal partito sciita Hezbollah.
Nelle strade del Libano anche il movimento di protesta sta uscendo dall’isolamento
Oggi il primo ministro sta cercando di barcamenarsi tra la rabbia popolare che ha riacceso le contestazioni, la necessità di presentare un piano credibile per ottenere finanziamenti dall’estero e un contesto geopolitico estremamente complesso.
Il 6 aprile il presidente Michel Aoun ha provato a lanciare un appello “all’unità nazionale senza divisioni” per salvare il paese, ma una parte dell’opposizione ha respinto il suo invito, in particolare Saad Hariri, rientrato da un lungo soggiorno a Parigi e particolarmente agguerrito.
Il primo morto
Nelle strade del Libano anche il movimento di protesta sta uscendo dall’isolamento. L’appello per la manifestazione di giovedì prossimo si conclude con l’ormai classica raccomandazione a “indossare mascherine e guanti”. Negli ultimi giorni sono state incendiate alcune banche, le stesse che da mesi bloccano i risparmi dei libanesi. A Tripoli un manifestante è stato ucciso da un colpo di arma da fuoco.
A questo punto il governo spera di ottenere dal Fondo monetario internazionale un prestito da oltre venti miliardi di dollari per i prossimi cinque anni. Hezbollah, organizzazione filoiraniana, all’inizio si è opposta con determinazione all’idea, ma alla fine ha dovuto piegarsi in mancanza di altre soluzioni.
Il problema è che l’aiuto finanziario impone la realizzazione di riforme che negli ultimi anni nessun governo è stato in grado di fare, perché per riuscirci bisognerebbe rimettere in discussione le fondamenta dell’economia di rendita su cui poggia l’intero paese.
Per molto tempo il Libano è sembrato un’eccezione in Medio Oriente, come un funambolo sospeso su un filo. Oggi non è più così. Il paese non ne ha più i mezzi e la popolazione è allo stremo. Il covid-19 ha spazzato via il passato, e ora il futuro appare molto incerto.
(Traduzione di Andrea Sparacino)