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È in corso una battaglia diplomatica su Taiwan all’Oms

Un manifesto del ministero della difesa a Taipei, Taiwan, 20 aprile 2020. (Ann Wang, Reuters/Contrasto)

Sarà un test molto importante per i rapporti di forza tra la Cina e il resto del mondo ai tempi del covid-19. Il 18 maggio, in videoconferenza, si svolgerà l’Assemblea mondiale della sanità, l’incontro annuale dei membri dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

Il clima sarà abbastanza teso. Al momento, infatti, è in corso un braccio di ferro sulla partecipazione di Taiwan all’evento in qualità di osservatore.

La possibile presenza di Taiwan è uno spauracchio per il governo cinese. La Cina ne fa una questione di principio e minaccia rappresaglie contro tutti i paesi che sosterranno questa richiesta.

Facciamo un piccolo passo indietro per chiarire quale sia la materia del contendere. La Cina considera l’isola di Taiwan come parte integrante del proprio territorio, anche se dopo il 1949 i destini dei due paesi hanno preso strade diverse a causa di una serie di imprevisti storici.

Taiwan ha tutte le caratteristiche proprie di uno stato – una costituzione, un governo eletto, un esercito – ma non fa parte delle Nazioni Unite ed è riconosciuto solo da una manciata di paesi. Questo perché qualsiasi stato che stabilisca relazioni con Pechino accetta il principio per cui esiste “una sola Cina”, non due.

Le conseguenze di questa esclusione sono assolutamente concrete: il 31 dicembre, dopo aver ricevuto le prime notizie da Wuhan a proposito del rischio sanitario, Taiwan ha chiesto ulteriori informazioni al consiglio dell’Oms, ma non ha mai ricevuto alcuna risposta. Anche perché l’Oms ha fatto affidamento sulle comunicazioni lacunose di Pechino.

Coinvolgere Taiwan nell’assemblea che dovrà trarre i primi insegnamenti dalla pandemia in corso sarebbe utile

Questo non ha impedito al governo di Taiwan di avviare immediatamente l’analisi dei campioni di tutti i passeggeri in arrivo con voli da Wuhan. Da allora Taiwan ha gestito in modo esemplare l’epidemia, registrando appena 439 casi e sei decessi nonostante l’isola si trovi a breve distanza dalla Cina continentale.

Coinvolgere Taiwan nell’assemblea che dovrà trarre i primi insegnamenti dalla pandemia in corso sarebbe sicuramente utile per motivi legati alla sanità pubblica e all’esperienza dell’isola nella gestione della crisi. Ma esistono anche ragioni politiche, soprattutto in un momento in cui le relazioni tra la Cina, gli Stati Uniti e una parte del mondo sono sempre più tese.

Chi difende Taiwan all’interno dell’Oms? Naturalmente gli Stati Uniti, che non perdono occasione per attaccare Pechino e reclamano la presenza dei taiwanesi. Ma gli statunitensi non sono i soli: a sostenere la richiesta di Taiwan ci sono anche il Canada, parte dell’Europa, l’Australia e la Nuova Zelanda. Il mese scorso diverse decine di parlamentari francesi hanno firmato un appello in favore di una più stretta collaborazione tra Taiwan e l’Oms.

Tra il 2009 e il 2016 Taiwan ha partecipato agli incontri dell’Oms come osservatore, ma dopo l’elezione dell’attuale presidente dell’isola Tsai Ing-wen, di orientamento indipendentista, la Cina ha fatto in modo che il governo dell’isola fosse escluso.

L’esito di questa battaglia resta imprevedibile. Gli occidentali sollevano compatti il problema, ma molti governi non vogliono essere trascinati da Donald Trump nella sua guerra fredda con Pechino.

Al contempo è innegabile che la Cina abbia perso diversi alleati negli ultimi mesi. La questione di Taiwan sarà una prova della capacità di Pechino di imporre la propria agenda sulla scena internazionale. Anche a spese della lotta comune contro il virus.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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