A rigor di logica i leader cinesi dovrebbero sperare in una sconfitta di Donald Trump alle elezioni del prossimo 3 novembre. Sarebbe comprensibile, considerando che il presidente attacca la Cina da tre anni e contro di essa ha scatenato una vera e propria guerra fredda.
E, invece, a Pechino non dispiacerebbe una rielezione di Trump, o almeno questo è quanto ha sostenuto in settimana l’agenzia Bloomberg dopo aver intervistato alcuni ex funzionari cinesi.
Il ragionamento è semplice: la Cina pensa che gli Stati Uniti manterranno la loro ostilità verso la potenza rivale a prescindere da chi vincerà le prossime elezioni, perché su questo tema a Washington c’è un consenso bipartisan. Di conseguenza, dalla prospettiva di Pechino, è meglio avere un presidente degli Stati Uniti disfunzionale che offre involontariamente occasioni strategiche, piuttosto che uno come Joe Biden, probabilmente capace di mettere ordine nel governo statunitense, rinnovare le tradizionali alleanze del paese e creare più difficoltà al regime cinese.
Ragioni buone e meno buone
Può sembrare paradossale, considerando che Trump non smette mai di criticare apertamente la Cina. Tuttavia l’incapacità di Trump di stringere alleanze, l’incoerenza delle sue decisioni e la sua inclinazione a mercanteggiare sembrano preferibili agli occhi di Pechino, per ragioni buone e meno buone.
Questa presunta posizione della Cina si aggiunge alle informazioni contenute nel libro dell’ex consulente per la sicurezza nazionale John Bolton, di cui i mezzi d’informazione statunitensi hanno appena pubblicato alcuni estratti. È probabile che Bolton, che tra l’altro ha una solida reputazione di complottista, abbia voluto vendicarsi dopo essere stato allontanato dalla Casa Bianca, ma resta il fatto che i suoi racconti sono perfettamente credibili.
Trump ha alleati ideologici come Bolsonaro in Brasile e Duda in Polonia
In particolare, riguardo ai rapporti con Pechino, Bolton afferma che l’anno scorso Trump avrebbe detto a Xi Jinping “che è il più grande presidente della storia della Cina”, chiedendogli aiuto per essere rieletto attraverso un acquisto massiccio di prodotti statunitensi. Questa cultura degli “affari” offre infinite possibilità.
Ma ci sono altri paesi che “votano” per Trump. Prima di tutto i suoi alleati ideologici, come Jair Bolsonaro in Brasile o i leader populisti della Polonia, tra cui il presidente Andrzej Duda, candidato alla rielezione il prossimo 28 giugno e atteso a Washington per una foto elettorale con Trump.
Poi ci sono i leader come il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che non ha mai avuto buoni rapporti con Trump ma ha subito capito di poter approfittare del rispetto del suo collega americano per gli “uomini forti”, di cui fanno parte anche i dittatori come Kim Jong-un, leader nordcoreano che Trump continua a corteggiare nonostante gli incontri tra i due non abbiano prodotto risultati. Anche Kim, naturalmente, “voterà” per Trump il 3 novembre.
Ma c’è anche chi si augura segretamente la sua sconfitta, come la gran parte dei leader europei, stufi di un presidente statunitense che non perde occasione di attaccarli.
Comunque, l’ultima parola sta agli elettori negli Stati Uniti, e non è detto che la pensino tutti allo stesso modo.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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