Le accuse di crimini al presidente del Kosovo pesano sul futuro dei Balcani
Accusare un capo di stato di essere responsabile della morte di centinaia di persone non è mai una cosa banale. In questo momento sta accadendo nel cuore dell’Europa, in una delle regioni più strutturalmente instabili del continente, il Kosovo.
Il presidente kosovaro Hashim Thaçi e il presidente del Partito democratico del Kosovo (al potere) Kadri Veseli sono stati infatti accusati dal procuratore speciale per il Kosovo, che opera nei Paesi Bassi, di essere “penalmente responsabili per la morte di quasi mille persone” in seguito a fatti che si sarebbero svolti tra il gennaio 1998 e il dicembre 2000, durante e subito dopo la guerra d’indipendenza, in un periodo segnato dai regolamenti di conti politici ed etnici.
Hashim Thaçi è l’uomo forte del paese. Negli anni novanta ha fondato l’Esercito di liberazione del Kosovo, l’Uçk, che ha condotto una guerriglia contro il governo serbo di Slobodan Milošević. All’epoca il Kosovo, la cui popolazione è in maggioranza albanese, era ancora una delle regioni della Serbia e non era stato coinvolto dal crollo dell’ex Jugoslavia, seguito da anni di guerre e atrocità.
Quando anche il Kosovo si è ribellato, questo ha provocato l’ingresso in guerra della Nato, il bombardamento di Belgrado da parte degli occidentali e infine la ritirata dell’esercito serbo.
L’incriminazione del presidente kosovaro non è una sorpresa. La creazione del Tribunale speciale è stata voluta dagli alleati statunitensi ed europei del Kosovo per non lasciare impuniti i crimini commessi dagli indipendentisti kosovari, l’equivalente dei processi ai comandanti serbi della guerra.
Il Tribunale è argomento di tensione in Kosovo ormai da mesi, una tensione aumentata mano a mano che le indagini si avvicinavano ai vertici politici. Hashim Thaçi ha dichiarato di non avere “paura della giustizia”, ma al contempo ha fatto di tutto per metterle i bastoni tra le ruote.
I rapporti tra kosovari albanesi e serbi sono difficili, e molti pensano che valga la pena separarli
Un fulmine giudiziario a ciel sereno che sta già avendo un impatto politico. Thaçi ha rinunciato a un viaggio a Washington per incontrare, il 27 giugno, il presidente serbo Aleksandar Vučić. Gli Stati Uniti continuano a essere il “padrino” del Kosovo e spingono per una riconciliazione tra i due paesi, che al momento non si riconoscono a vicenda.
La riconciliazione appare molto complicata. Gli statunitensi sostengono un discusso accordo che prevede uno scambio di territori tra la Serbia e il Kosovo che farebbe passare le rispettive minoranze, albanese o serba, da un versante all’altro.
I rapporti tra kosovari albanesi e serbi sono ancora molto difficili, e molti pensano che valga la pena separarli, anche a rischio di compiere una “pulizia etnica”. I critici di questa proposta, invece, pensano che non esisterà mai la pace senza la reciproca accettazione, a prescindere dalle frontiere.
Al centro del problema c’è il fatto che il Kosovo, nonostante l’appoggio dell’occidente, resta un focolaio di instabilità cronica in una regione dove il nazionalismo etnico e la sfiducia non sono certo scomparsi e dove è in corso una battaglia di influenze geopolitiche tra la Russia, la Cina e i paesi occidentali.
Vent’anni dopo la guerra, il Kosovo non ha ancora risolto i problemi legati a una nascita dolorosa. Ora il passato sembra aver travolto anche il presidente, che difficilmente si arrenderà senza combattere.
(Traduzione di Andrea Sparacino)