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Il Cile ha detto basta alla costituzione voluta da Pinochet

Una manifestazione a favore della riforma della costituzione a Santigo, Cile, il 25 ottobre 2020. (Luis Hidalgo, Ap/LaPresse)

Nel flusso apparentemente ininterrotto di cattive notizie sanitarie o politiche, ogni tanto arriva un sollievo miracoloso. La sera del 25 ottobre le immagini della gioia popolare nel centro di Santiago del Cile sono state tanto impressionanti quanto incoraggianti. La popolazione celebrava la vittoria del sì in un referendum storico, con il 78 per cento dei voti.

Per comprendere la portata dell’evento bisogna tornare indietro di qualche mese, alle manifestazioni di massa che hanno scosso il Cile. La protesta è scoppiata a causa di un aumento del prezzo dei trasporti pubblici, fino a diventare una contestazione generale del “modello cileno”, delle sue profonde disuguaglianze sociali e infine dell’ordine costituzionale.

La costituzione cilena è un argomento molto delicato nel paese. Introdotta nel 1980, all’epoca di Pinochet, è stata approvata con un referendum molto contestato, e oggi è diventata il simbolo della paralisi del sistema economico sociale. Il 25 ottobre questo sistema è stato sottoposto al giudizio popolare.

Un evento storico
I cileni hanno risposto a due domande. La prima era piuttosto semplice: volete una nuova costituzione? La seconda, più complessa, riguardava la scelta delle persone che avrebbero eventualmente dovuto redigerla.

La scelta era tra gli attuali parlamentari e una nuova assemblea costituente. I cileni hanno deciso di fare tabula rasa ed eleggere, ad aprile, un’assemblea costituente il cui lavoro sarà sottoposto a un nuovo referendum all’inizio del 2022.

Il referendum ha dimostrato che la protesta ha saputo passare dalla strada alle urne

Si tratta di un evento storico. Il Cile è sempre stato un laboratorio politico, soprattutto sotto Pinochet, con le tesi liberali dei Chicago Boys, il gruppo di economisti che ha messo alla prova in Cile quello che in seguito è stato chiamato neoliberismo. La costituzione ereditata da Pinochet ha bloccato tutto, impedendo qualsiasi riforma strutturale.

Il risultato del 25 ottobre è tanto più determinante se consideriamo che il movimento sociale cileno aveva vissuto una battuta d’arresto con il covid-19. Il referendum ha dimostrato che la protesta ha saputo passare dalla strada alle urne, dando prova di una maturità rara.

Il Cile non è l’unico paese a essere stato segnato da un grande movimento sociale. Nel 2019 paesi come l’Algeria, il Libano e Hong Kong hanno assistito contemporaneamente a grandi movimenti di massa, in contesti e con rivendicazioni diverse, ma con alcuni elementi in comune: la protesta proveniva dalla società civile, era animata dai giovani e non aveva leader autoproclamati.

Non tutti i movimenti hanno avuto la stessa sorte. Sappiamo bene cosa è accaduto a Hong Kong, con la cortina di ferro imposta da Pechino. In Libano e in Algeria la piazza ha dettato l’agenda politica, ma si è scontrata con l’inerzia del potere. In Iraq i giovani manifestanti sono stati abbattuti a colpi di arma da fuoco. Da allora altri paesi si sono ribellati, come la Thailandia o la Bielorussia, evidenziando tutta le varietà di questo vento di rivolta.

Ora il Cile ha dimostrato che esiste un momento in cui la società civile, dopo aver conquistato le piazze, deve passare a un progetto politico. La vicenda della costituzione ha incanalato le energie e le speranze. Questi movimenti sociali non hanno ancora finito di scrivere la propria storia, nemmeno nell’era del coronavirus. Spesso vengono ostacolati e soffocati, ma a volte risultano vittoriosi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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