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Macron minaccia di rivedere la presenza francese nel Sahel

Una manifestazione in favore dei militari golpisti a Bamako, Mali, il 28 maggio 2021. (Michele Cattani, Afp)

Cosa difende la Francia in Mali e più in generale nel Sahel? Questo è il genere di domande che un governo cerca spesso di evitare quando oltre cinquemila soldati sono impegnati in una guerra lontana e complessa.

Eppure il presidente francese Emmanuel Macron ha deciso di sollevare questo doppio interrogativo a proposito del mantenimento della presenza militare francese in Mali all’indomani del secondo colpo di stato in pochi mesi, in un paese che si trova al centro della guerra anti jihad. Il colonnello Assimi Goita, autore del colpo di stato dell’estate scorsa, è ormai l’unico uomo al comando. Il 30 maggio Goita ha cercato di convincere i capi di stato della regione a lasciargli campo libero.

Ma è stato Emmanuel Macron, nella sua intervista al Journal du dimanche del 30 maggio, a sorprendere tutti dettando due condizioni per il proseguimento dell’operazione Barkhane, la missione per la quale i soldati francesi rischiano la vita in una terra straniera.

Domande importanti
La prima condizione è relativa alla natura del potere maliano, mentre la seconda, più complessa, è che il Mali non vada “in direzione” (parole di Macron) di un islamismo radicale.

Perché porre queste domande oggi? Prima di tutto perché niente sta andando come previsto. A febbraio, in occasione del vertice di N’Djamena, la Francia e i cinque paesi della regione che compongono il “G5 Sahel” (Mali, Burkina Faso, Niger, Mauritania, Ciad) avevano definito una strategia che puntava soprattutto a uscire dalla gestione esclusiva dell’esercito e a favorire il ritorno del governo nelle zone destabilizzate.

Ma in seguito sono arrivate la morte violenta del presidente del Ciad (sostituito dal figlio in una successione dinastica vecchio stampo) e il colpo di stato in Mali, che pone direttamente la questione della legittimità degli interlocutori della Francia. “Non resterò al fianco di un paese in cui non esistono legittimità democratica e transizione”, ha dichiarato Macron.

A questo avvertimento Macron ha fatto seguire le parole sull’islam radicale: “Oggi esiste questa tentazione in Mali. Se le cose andranno avanti in questa direzione mi farò da parte”. Chi è il bersaglio di questa minaccia? Di quale tentazione parla Macron? A quanto sembra il presidente si riferisce alla possibilità che alcuni attori politici scendano a patti con le fazioni jihadiste a livello locale, per ristabilire la pace al prezzo di concessioni sull’islamizzazione.

Macron andrebbe fino in fondo? In realtà appare poco probabile. Innanzitutto perché sarebbe un fallimento partire senza aver raggiunto l’obiettivo. Una scelta di questo tipo non è nella natura di Macron, soprattutto a un anno dalle presidenziali.

Ma in questo modo il presidente si assume un grosso rischio facendo aumentare la pressione sui dirigenti maliani e sui leader africani della regione, gli arbitri del post golpe. Il pericolo del dire “trattenetemi o me ne andrò” è quello di alimentare l’impopolarità della Francia in un settore della società maliana, ma anche quello nei confronti di un intervento militare accolto come una liberazione nel 2014 (in occasione dell’arresto di una colonna jihadista) e allargatosi progressivamente senza che la minaccia si indebolisse, anzi.

L’altro rischio emerge in Francia, dove la guerra contro la jihad è capita ma poco accettata nel momento in cui i militari maliani passano più tempo a dedicarsi ai giochi di potere che a combattere nei deserti del Sahel. Ancora una volta c’è bisogno di fare chiarezza su una missione che rischia di insabbiarsi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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