La paura del vuoto ad Haiti dopo l’omicidio del presidente Moïse
Nella storia sono rari gli omicidi dei capi di stato che non siano stati seguiti da un tentativo di golpe. Jovenel Moïse, presidente di Haiti, è stato ucciso il 6 luglio in piena notte da un commando straniero probabilmente composto da mercenari. La moglie, Martine Marie Etienne Joseph, è stata gravemente ferita. Poi non è successo più nulla.
Il paese, già destabilizzato, si trova così davanti al vuoto. Innanzitutto è un vuoto istituzionale, visto che il primo ministro incaricato Ariel Henry non ha ancora prestato giuramento, perché il parlamento non esiste più dal 2019 e perché il presidente della corte di cassazione, che dovrebbe assicurare l’interim in caso di vuoto di potere, è morto di covid-19. Ma è anche un vuoto di spiegazioni, perché ancora non si sa chi abbia voluto l’omicidio di Moïse.
Di sicuro c’è che a Moïse non mancavano i nemici, magari non intenzionati a ucciderlo ma comunque desiderosi di vederlo uscire di scena. Da due anni Haiti è scossa da manifestazioni che accusavano il presidente di essere coinvolto in uno scandalo che riguarda le importazioni di petrolio. Dal 7 febbraio l’opposizione riteneva che il mandato di Moïse fosse terminato.
Incertezza totale
Un luogo comune scontato ma ricorrente parla di una “disgrazia” o di una “maledizione” haitiana, come se fosse una spiegazione sufficiente. È chiaramente assurdo.
Resta il fatto che in oltre due secoli d’indipendenza – nel 1804 Haiti è stata la prima repubblica nera indipendente della storia, dopo una rivolta di schiavi contro l’esercito di Napoleone – il paese non ha mai trovato il suo equilibrio e il suo sistema di governo. Haiti non è stata aiutata né dalle potenze straniere – nel diciannovesimo secolo la Francia le ha fatto pagare fino all’ultimo centesimo la compensazione per i proprietari di schiavi, mentre gli Stati Uniti hanno occupato il paese per vent’anni del novecento – né dalla natura: ricordiamo il sisma del 2010 che ha provocato 230mila vittime e un milione e mezzo di sfollati, seguito sei anni dopo da un uragano devastante.
Paese più povero delle Americhe, Haiti ha conosciuto le dittature (come quelle dei Duvalier padre e figlio per trent’anni), i regimi pseudodemocratici e i governi incompetenti e corrotti, di cui Moïse è stato solo l’ultima incarnazione.
Il fallimento dello stato haitiano è anche il fallimento della comunità internazionale
L’omicidio del presidente crea un clima di incertezza totale. A febbraio Moïse aveva fatto arrestare numerosi oppositori, tra cui un giudice della corte di cassazione che ne chiedeva l’allontanamento e reclamava la scrittura di una nuova costituzione.
L’eliminazione di Moïse in queste condizioni, però, appare poco favorevole a un’evoluzione come quella rivendicata dalla società civile in un movimento haitiano che ricorda le recenti rivolte sociali in Cile o in Libano.
Il fallimento dello stato haitiano è anche il fallimento della comunità internazionale, che non è stata all’altezza quando ha dichiarato di voler aiutare Haiti nel 2010. Il regista haitiano Raoul Peck aveva denunciato le promesse non mantenute in un documentario dal titolo implacabile: Assistence mortelle, assistenza mortale.
Ma allora cosa possono sperare oggi gli haitiani? Che l’elettroshock di quest’omicidio e la paura del vuoto permettano di “fare nazione” laddove nessuno ci crede più? È una speranza improbabile, soprattutto quando non si sa ancora chi abbia ucciso il presidente.
(Traduzione di Andrea Sparacino)