La lotta al terrorismo nel Sahel è complicata dai mercenari russi
Tra il Mali e la Francia si avvicina il momento della verità dopo mesi di tensioni tra i due stati, teoricamente alleati nella lotta contro il terrorismo nel Sahel.
L’ultimo esempio della sfiducia tra Parigi e Bamako è arrivato quando il primo ministro maliano Choguel Maiga ha parlato della Francia in un’intervista a Le Monde, definendola “il nostro principale alleato, o almeno crediamo che lo sia”. Maiga ha ripreso in questo modo le accuse di “abbandono” lanciate alla Francia dopo l’annuncio della fine dell’operazione Barkhane e la riorganizzazione del contingente francese, nonostante il governo di Parigi ribadisca che tutto è stato fatto di concerto con quello maliano.
Se ci sarà una rottura netta, arriverà a causa della possibile decisione della giunta militare maliana di ingaggiare mercenari russi dell’azienda privata Wagner, guidata da un uomo vicino al presidente russo Vladimir Putin. Su Le Monde il primo ministro maliano non ha risolto i dubbi in proposito. “Non conosco Wagner, allo stato attuale sono solo voci di corridoio”, ha affermato, ma subito dopo ha lasciato intendere il contrario dichiarando che “il nostro governo ha compreso che contando su un solo partner rischia di essere abbandonato in qualsiasi momento”. Il secondo partner, evidentemente, è la Russia.
Situazione sfumata
È difficile immaginare le forze francesi ed europee operare nello stesso paese dove agiscono i mercenari russi della Wagner. L’arrivo di questi ultimi in Repubblica Centrafricana ha comportato la sospensione della collaborazione militare con la Francia. Se questo scenario si concretizzasse, scoppierebbe una grave crisi tra Francia e Mali.
Qualche settimana fa, quando hanno cominciato a trapelare le prime informazioni, la posizione di Parigi è stata chiara: “O noi o loro”. Oggi la situazione è meno netta, anche in ragione delle difficoltà operative che il ritiro delle forze francesi dal Mali presenterebbe per il proseguimento delle operazioni antiterrorismo. Il Niger offre un “piano alternativo” incerto, e il Ciad, più accogliente, è lontano dalla zona di azione prioritaria, la regione delle “tre frontiere” tra il Mali, il Niger e il Burkina Faso.
La Francia non è l’unico paese a interrogarsi al proposito. Il 18 ottobre il ministro degli esteri tedesco Heiko Maas, il cui paese mantiene centinaia di uomini sul campo in una missione di addestramento, ha ventilato la possibilità di imporre sanzioni in caso di arrivo dei mercenari.
Perché quest’ostinazione dei dirigenti maliani? Se il precedente centrafricano può darci un’indicazione, è possibile che Wagner offra una guardia pretoriana al presidente Touadéra. I vertici della giunta militare maliana, la cui legittimità è scarsa, potrebbero decidere di pagare per una protezione che la Francia non intende più offrire.
La questione della legittimità del regime è il secondo grande tema del momento. L’anno scorso gli autori del primo colpo di stato si erano impegnati a organizzare nuove elezioni nel febbraio 2022. Il regime attuale, nato da un “colpo di stato nel colpo di stato”, sta rimettendo in discussione questo calendario. “Qualche settimana o qualche mese di rinvio non sono la fine del mondo”, ha dichiarato il primo ministro maliano.
Il 17 ottobre i paesi della regione hanno intimato al colonnello Assimi Goita, l’uomo forte di Bamako, di rispettare il calendario, un messaggio “chiaro” e “senza ambiguità” secondo la delegazione africana. Basterà questo a far cedere il regime? Non è affatto sicuro, e a Parigi regna il pessimismo. A questo punto è probabile che alla guerra contro i gruppi terroristi del Sahel si aggiunga presto un caos politico e militare da cui nessuno uscirà vincitore.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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